Lo sviluppo umano è un complesso processo influenzato da molteplici fattori. Negli ultimi anni il dibattito “natura o cultura” nel capire quale tra componente genetica e ambientale giocasse il ruolo maggiore nel determinare caratteristiche comportamentali ha guidato l’approccio investigativo privilegiato al fine di cogliere appieno questo processo, non rivelandosi, ad oggi, esaustivo.
Persiste, quindi, la necessità di stabilire un modello più completo dello sviluppo umano tra fattori genetici e contesti ambientali, andando ad approfondire soprattutto l'interazione tra di essi, al fine di chiarire anche componenti e iter che possono portare a condizioni patologiche, sfruttando e adattando le tecnologie che, giorno dopo giorno, rappresentano sempre più un alleato della ricerca psicofisiologica e della pratica clinica. Ad oggi, il rapporto tra ambiente e salute rappresenta uno degli argomenti più stimolanti in tutti settori, dall’architettura alla biologia, dalla fisica alla chimica, dal momento che vengono sempre più spesso impiegate tecnologie che vanno a impattare, positivamente o negativamente, sugli spazi che fanno parte della nostra quotidianità.
Negli ultimi anni la medicina preventiva si è occupata di indagare sulle possibili cause di contaminazione (es: acqua, pollini, etc…) che nel lungo termine possono portare a malattie croniche o degenerative. Rientrano in questa sfera di interesse abitudini e stili di vita quali l'alimentazione, l'esposizione al fumo, la sedentarietà, la permanenza in un ambiente a elevato tasso di inquinamento o il livello di igiene in un'abitazione.
La ricerca scientifica nella sfera della medicina preventiva si sta adoperando al fine di ridurre l’esposizione ad agenti inquinanti, proteggendo, di conseguenza, anche le generazioni future. Per giungere al nucleo del problema è necessario, prima di tutto, pianificare studi longitudinali su larga scala, per meglio individuare anche eventuali fattori individuali a livello genetico che potrebbero rappresentare una vulnerabilità.
È proprio all’interno di questo quadro che si sta sviluppando in Giappone il progetto “Chemiless Town”, frutto della collaborazione tra Università di Chiba, Sekisui House Co., Ltd., Tokyu Homes Corporation e Takachiho Shirasu Corporation, che prevede la progettazione e costruzione di case prive di sostanze chimiche dannose, nel pieno rispetto della tradizione locale, e che affonda le sue radici negli studi del 1888 ad opera del Dr. Rudolf Virchow: nuove tecnologie per vecchi dilemmi.
A partire dalla fine del XIX secolo, il concetto di “casa”, ha infatti subito profonde modificazioni soprattutto dal punto di vista architettonico, con la diffusione degli appartamenti condominiali, ma con la riduzione degli spazi e il riscaldamento tramite kotatsu (tipico metodo che prevedeva l’utilizzo del carbone, oggi sostituito da una resistenza elettrica) si sviluppò presto quella che è stata definita dal Ministero della Salute, del Lavoro e del Welfare del Giappone come sick-building syndrome, malessere caratterizzato da una sintomatologia che include irritazione agli occhi, vertigini, mal di testa, dolore al naso e alla gola e che si manifesta in un locale specifico dell’abitazione, ma che scompare dopo aver lasciato la stanza.
Il progetto “Chemiless Town” è partito proprio da questa sindrome nella stesura del piano di costruzione di una città-modello nel campus universitario di Chiba, implementando il concetto di medicina preventiva ambientale e collaborando con industrie avanzate nella produzione di materiali migliori per prevenire la sick-building syndrome.
Questo e altri temi si sono discussi a Rovereto il 24 marzo durante la seconda edizione del summit scientifico tra Italia e Giappone che quest’anno ha posto l’accento proprio sul rapporto tra ambiente e salute. La forte collaborazione tra l’Università di Trento e le varie realtà giapponesi costruita negli anni è stata sancita ufficialmente a partire dallo scorso anno, testimoniata anche dalla partecipazione di 9 studenti italiani, una studentessa giapponese e un assegnista di ricerca agli Accordi Bilaterali e al programma Erasmus+, mirati a favorire il flusso bidirezionale di studenti, sia di corsi di laurea triennali che magistrali e specialistiche, incentivando progetti di ricerca e tirocinio all’estero.
Nello specifico, le selezioni prevedono la possibilità per 5 studenti (3 per Psicologia e Scienze Cognitive e 2 di Economia) di trascorrere un periodo presso l’Università di Nagasaki per frequenza corsi o ricerca tesi; altre due posizioni sono aperte per gli studenti del Polo di Rovereto, rispettivamente, una per l’Università di Chiba e una per l’Università di Kanazawa, con l’attesa di consolidare sempre di più questa cooperazione.
L’incontro “Enviroment and health: new technologies to old dialemmas” si è svolto il 24 marzo presso Palazzo Istruzione a Rovereto ed è stato organizzato dal Dipartimento di Psicologia e Scienze Cognitive dell'Università di Trento e dall'Università di Nagasaki in collaborazine con le Università di Chiba e Kanazawa. Organizzatori scientifici: i professori Gianluca Esposito e Kazuyuki Shinohara (Università di Nagasaki).