Il giudice Sang-Hyun Song, presidente della Corte penale internazionale, è stato ospite della Scuola di Studi internazionali dell’Università di Trento, dove ha tenuto lo scorso 24 febbraio una lectio magistralis dal titolo: “Le attuali sfide della Corte penale internazionale”.
Prima della lezione ho incontrato il giudice Sang-Hyun Song in compagnia del professor Mauro Politi, ex giudice della Corte penale internazionale e docente dell’Ateneo. La conversazione ha riguardato l'attività di questo organismo, in particolare in merito alle due sfide principali che la Corte si trova a dover affrontare: la ratifica mondiale dello statuto della Corte penale internazionale e le sue relazioni con i paesi africani.
Giudice Song, l’Asia continua ad essere la regione meno rappresentata presso al Corte penale internazionale. Qual è stata la strategia della Corte per ottenere un maggiore coinvolgimento? Quali risultati sono stati raggiunti e quali sono le aspettative?
L’Asia è la regione più vasta e più complessa del mondo. Sottoregioni diverse richiedono strategie diverse. Tuttavia, la nostra strategia condivisa punta alla mobilitazione e ad avere una buona credibilità, facendo in modo che si diffonda l'organizzazione di conferenze regionali relative alla Corte penale internazionale. Partecipo a queste conferenze e illustro fino allo sfinimento le ragioni per cui dovrebbero diventare membri della Corte penale internazionale, iniziando un dialogo che sembra dare buoni risultati. L'esperienza mi ha insegnato che l'ignoranza è il nostro peggior nemico: i governi non sono sufficientemente informati su come opera la Corte penale internazionale e alcuni funzionari temono a tutt'oggi l'opposizione e la ritorsione americana, che sono ormai un ricordo del passato. È necessario intensificare la collaborazione con l’Asia sudorientale e il Forum delle Isole del Pacifico. Rimane ancora da lavorare in Medio Oriente. Attualmente la Malesia e l’Indonesia stanno facendo grandi passi avanti, verso la ratifica.
Dopo la ratifica della Tunisia nel 2011, molti ritengono che la Primavera araba rappresenti un’apertura verso la ratifica dello statuto della Corte da parte di tutto il mondo arabo. Lei ritiene che la Primavera araba abbia migliorato la percezione della Corte penale internazionale negli stati arabi?
SONG: Inizialmente credevamo che fosse così. Non ho perso tempo e ho contattato subito i leader tunisini, sottolineando che era il momento giusto per ratificare lo statuto. La Tunisia l’ha fatto mentre non è stato possibile in Egitto.
POLITI: L’Egitto ha avuto una possibilità di procedere alla ratifica quando Nabil el-Arabi era ministro degli Affari esteri, però non è rimasto in carica a lungo.
SONG: Stiamo programmando di tenere una conferenza regionale in Tunisia quest’anno e contiamo di cogliere l'occasione per fare pressione su paesi come il Marocco. Sfortunatamente la situazione non è favorevole in altri paesi, come ad esempio in Libia, dove l’ex procuratore generale, favorevole alla ratifica, è stato recentemente assassinato. Mesi fa inoltre quattro nostri funzionari sono stati trattenuti dalle milizie che controllano Zintan e la loro liberazione ha richiesto un notevole sforzo da parte nostra.
Come vede la relazione con gli stati dell’Unione Africana e le possibili soluzioni delle attuali situazioni di rischio?
L’Unione Africana è stata molto attiva nel dare voce alle richieste del governo keniano, guidato dai due imputati dalla Corte penale internazionale. Le richieste di un processo interamente in camera, una richiesta in assoluta controtendenza rispetto al principio di trasparenza della giustizia o un rinvio del processo da parte del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sono state entrambe respinte. Tuttavia le loro voci sono state ascoltate dall'Assemblea degli stati membri della Corte penale internazionale e sono state riformate alcune rigide regole procedurali relative alla presenza degli imputati durante il processo. Ritengo che i vari stati africani abbiano diversi interessi nazionali e calcoli precisi. Tuttavia, la maggioranza ha sostenuto con fermezza la Corte e le minacce di ritiro collettivo sono svanite. In qualità di presidente della Corte penale internazionale credo che questa istituzione debba rimanere giuridica: nel momento in cui diventasse politica o fosse contaminata politicamente, questo segnerebbe la fine del sistema di giustizia penale internazionale.