Secondo i dati Eurostat, dal 2010 gran parte degli stati dell’Unione Europea ha subito un calo generale e repentino del tasso di fecondità totale, che misura il numero medio di figli per donna. Certi paesi se la passano peggio, come l’Italia che è passata da 1,46 a 1,25 figli per donna fra 2010 e 2021. Altri, invece, mantengono tassi di fecondità più alti: è il caso della Francia, con 1,85 figli per donna, o di alcuni stati dell’Est Europa, che hanno persino visto un aumento del numero di figli. Quello che accomuna tutti questi paesi è che nessuno raggiunge la soglia dei due figli per donna, il tasso che garantisce di rimpiazzare la generazione precedente. Agnese Vitali, professoressa associata di Demografia al Dipartimento di Sociologia e Ricerca sociale, spiega le ragioni di questo fenomeno e come certi territori siano riusciti a mitigarlo.
«Il calo della popolazione europea non è una novità: per chi si occupa di demografia era una situazione prevedibile da diversi decenni, quando il numero dei nati ha iniziato a calare sempre di più», spiega Vitali. «Tuttavia, le nascite sono solo uno dei tre fattori che determinano l’andamento della popolazione: bisogna tenere conto anche di decessi e migrazioni. La speranza di vita è aumentata: si vive più a lungo e si muore ad età sempre più avanzate e questo chiaramente è un fattore positivo, un sinonimo di benessere e sviluppo. Ma significa anche che ci sono sempre più persone anziane. Se in un paese la popolazione invecchia, ci saranno molte persone in età avanzata, e quindi saranno registrati molti decessi, perché la probabilità di morire aumenta con l’età, e a fronte di poche nascite questo implica un saldo naturale della popolazione negativo: il numero di decessi supera il numero di nuovi nati».
Ci sono poi i flussi migratori. I flussi in entrata compensano la decrescita naturale della popolazione. Ma ci sono anche flussi migratori in uscita, dipendenti da molti fattori, non ultima la situazione macroeconomica. «Prendiamo ad esempio la crisi del 2008, un fattore che non era prevedibile per i demografi. Nei paesi dell’Europa meridionale, tra cui l’Italia, il tasso di disoccupazione è cresciuto enormemente, soprattutto tra i giovani adulti, molti dei quali sono emigrati verso Regno Unito e Germania, dove era più probabile trovare occupazione».
Ma quali sono le ragioni del calo della fecondità? È iniziato tra gli anni 60 e 70, quando il modo di vivere e i valori degli europei sono cambiati profondamente. L’individualismo e la realizzazione di sé sono diventati sempre più importanti e hanno portato, tra l’altro, a posticipare l’età al primo figlio e a diminuire il numero di figli.
Oltre a questo, c’è stato un cambiamento a livello strutturale nella società: aumenta il tempo dedicato a studiare, aumenta l’occupazione femminile e cambiano i ruoli di genere. Ora la situazione è molto diversa rispetto a settant’anni fa, ma spesso mancano ancora servizi che favoriscano la bigenitorialità. «Nei paesi in cui c’è maggiore occupazione, soprattutto femminile, diventa più facile – per chi lo desidera – avere figli a un’età più giovane» continua a spiegare Vitali. «Lo stesso vale anche nei paesi dove c’è una maggiore uguaglianza tra uomo e donna, dove i padri sono sempre più coinvolti nella cura dei figli, anche grazie alle politiche sui congedi parentali».
Ma esistono forti variabilità all’interno dei singoli paesi. In Italia è il caso dell’Alto Adige: «L’Alto Adige, con un tasso di fecondità pari a 1,72 figli per donna nel 2021 è più simile alla Francia e ai paesi Scandinavi che alle altre regioni italiane. Il Trentino invece ha una storia differente: tra la fine degli anni ’90 e il 2010 la fecondità era ben sopra la media nazionale, poi ha iniziato a calare fino a raggiungere 1,42 figli per donna nel 2021 – comunque un livello superiore rispetto a quello nazionale (1,25). I livelli di natalità registrati nelle due province autonome di Trento e Bolzano sono quindi eccezionali per il contesto italiano, dove il tasso di fecondità è tra i più bassi del mondo. La natalità eccezionale delle due province autonome è legata all’investimento promosso dalle politiche pubbliche a sostegno della natalità e delle famiglie che nel resto d’Italia non si trovano: maggiore copertura dei servizi per la fascia d’età 0-5, sussidi per le famiglie a basso reddito, incentivo ai congedi facoltativi per i padri, aiuto nell’acquisto della prima casa, e altro ancora. A queste politiche pubbliche si aggiungono poi un benessere economico più elevato e una maggiore occupazione femminile: l’unione di tutti questi fattori positivi ha permesso di mantenere una fecondità più alta che nel resto d’Italia».