Per raggiungere la neutralità climatica entro la metà del secolo, tra le altre misure, l'Unione europea ha disposto lo stop all’immatricolazione di veicoli diesel e benzina a partire dal 2035. Seppur prevista, la novità ha sollevato un ampio dibattito sui tempi e sulle modalità della transizione ecologica. Nell’ambito del Focus che UniTrentoMag sta dedicando al risparmio energetico, abbiamo raccolto le voci di tre persone che, da punti di vista diversi, si occupano di mobilità sostenibile all’interno dell’Ateneo.
A proposito di mobilità elettrica, «l’Italia negli ultimi anni ha fatto progressi enormi», racconta Maurizio Fauri, docente di Sistemi elettrici per l'energia al Dicam. «Nel nostro paese, ci sono oggi 36mila colonnine e altre 25mila arriveranno nei prossimi 24 mesi. In questo momento abbiamo una stazione di ricarica ogni 5 auto elettriche, mentre in altri paesi europei c’è una colonnina ogni 6-8 auto».
Il problema della poca diffusione delle e-car (200mila in Italia contro il milione della Germania) sembra quindi legato non alle infrastrutture, ma piuttosto a una mentalità poco propensa al cambiamento. Perché, con l’avvento delle auto elettriche, è destinato a cambiare radicalmente anche il nostro modo di viaggiare. Prosegue Fauri: «Oggi, siamo abituati a prendere la macchina, andare a Roma e tornare in giornata. Un migliaio di chilometri in tutto. Lo si potrà ancora fare, certo, ma con altri mezzi. La direzione verso cui andare non è quella della semplice auto elettrica, ma quella di una mobilità elettrica integrata».
Attorno alla mobilità elettrica c’è però anche molta letteratura negativa: «Ci sono tante leggende da sfatare – ci dice Fauri – ad esempio quella sull’energia che deve pur essere prodotta in qualche modo. Ebbene, anche se tutta l’energia arrivasse da fonti fossili, avremmo comunque un vantaggio ambientale significativo rispetto ai milioni di veicoli inquinanti che percorrono le nostre strade. Questo perché la conversione nelle centrali termoelettriche ha rendimenti maggiori (50-55%) rispetto a quella che avviene nelle nostre auto (30-35%). Di fatto, poi, il 40% dell’energia prodotta in Italia arriva oggi da fonti rinnovabili e sicuramente questa quota è destinata a crescere».
Oltre al problema delle infrastrutture di ricarica e della mentalità, un altro ostacolo per la diffusione dei veicoli elettrici è la capacità di stoccaggio delle batterie. Su questo fronte, lavora Mattia Biesuz ricercatore del Dii impegnato a studiare un ossido senza nichel e con un ridotto contenuto di cobalto.
Si sente spesso parlare di problemi legati all’approvvigionamento dei minerali rari necessari per la mobilità elettrica. Eppure, sembrano esserci problemi anche per la salute e lo smaltimento. «Gli elettrodi per le batterie al litio sono oggi costituiti da ossidi di cobalto a volte miscelato con altri composti come l’ossido di nichel, entrambi classificati come potenzialmente cancerogeni», racconta Biesuz. «Poi ci sono anche problemi legati all’approvvigionamento di questi minerali, perché il grosso del cobalto arriva dall’Africa, in particolare dal Congo, e l’estrazione porta con sé una quantità di problemi ambientali e sociali».
«Dal 2015 – racconta ancora Biesuz – è stata sviluppata una nuova classe di ossidi, i cosiddetti ossidi "ad alta entropia", costituiti cioè da una miscela di almeno cinque ossidi diversi che si fondono ad alta temperatura per formare un’unica fase cristallina. Alcuni di questi ossidi mostrano proprietà elettrochimiche molto interessanti, ad esempio la conducibilità mista ionica ed elettronica, con possibili applicazioni all’interno di elettrodi, oppure una conduzione di tipo superionica, con tante applicazioni diverse come le batterie agli ioni di litio allo stato solido. Questa classe di materiali presenta un contenuto inferiore, se non nullo, rispetto agli elementi il cui approvvigionamento è critico dall’Unione europea».
Anche Biesuz ha una visione molto netta della mobilità elettrica: «Lo sviluppo dei materiali per le batterie diventerà un tema sempre più importante nei prossimi anni. Spostandoci verso l’elettrico e le rinnovabili, si crea il problema di stoccare la grande quantità di energia necessaria. Ci sono diversi approcci, in primo luogo quello elettrochimico e quello che si basa su vettori gassosi come idrogeno o addirittura il metano. Nel primo caso, servono batterie molto capienti e performanti. Nel secondo caso, serve l’energia elettrica utilizzata per rompere la molecola d’acqua liberando quindi idrogeno che, mediante reazione con la CO2, può essere convertito in metano. Questi vettori gassosi di energia possono poi essere utilizzati in motori a combustione, motori elettrici basati su celle a combustibile o per il riscaldamento di ambienti».
Con le nuove frontiere della mobilità sostenibile sta facendo i conti anche l’Università di Trento che a gennaio 2022 si è dotata di una mobility manager, l’ingegnera Mirella Ponte.
«Il primo strumento su cui abbiamo lavorato – racconta Ponte – è stato il questionario sugli spostamenti e la mobilità condivisa della popolazione universitaria somministrato a studenti, studentesse, docenti e personale tecnico-amministrativo». I questionari sono stati somministrati a inizio gennaio e i riscontri sono stati molto positivi: «Ha risposto circa il 10% della popolazione studentesca e quasi il 60% del personale tecnico amministrativo». L’analisi dei questionari fornirà il quadro della domanda di trasporto degli utenti UniTrento, da cui partire per poter proporre soluzioni sostenibili alla mobilità verso le strutture universitarie.
L’analisi delle risposte è ancora in fase preliminare, ma qualche dato già emerge. Ad esempio, sappiamo che con il Covid è cambiata la residenzialità di chi frequenta UniTrento, con più studenti pendolari e meno che si trasferiscono in città. La mobilità intermodale gioca quindi un ruolo fondamentale e va potenziata nell’ottica di offrire servizi più sostenibili anche dal punto di vista della gestione dei tempi di attesa all’interscambio.
«Un’altra tematica molto importante – conclude Ponte – è l’accessibilità alle persone con disabilità. UniTrento sta facendo molto per rendere i propri edifici e servizi sempre più inclusivi, ma l’accessibilità delle strutture non è sufficiente se non è accompagnata da quella dei trasporti».