In Italia, sono due milioni le persone affette da una malattia rara. Se si guarda all’Europa questi due milioni diventano trenta, mentre si stima che in tutto il mondo siano 300 milioni. Così riportano i dati di Uniamo, la Federazione Italiana delle Associazioni che rappresentano la comunità delle persone con malattia rara. Ma cosa si intende con questo termine? In Europa, una patologia è definita rara se ha una prevalenza inferiore ai 5 casi ogni 10mila persone. Molto spesso, è difficile avere una diagnosi perché la sintomatologia non sempre è supportata da esami strumentali o clinici e possono trascorrere anche anni prima di confermare una diagnosi di malattia rara. Questo comporta diversi disagi e difficoltà sia per chi ha una patologia congenita o in età pediatrica, sia per chi ha una patologia rara in età adulta. Le poche certezze portano la persona a vivere ai confini della società, si sente invisibile e si rende invisibile. L’accesso alle cure è complicato e a questo si aggiungono enormi costi economici e sociali. In occasione della giornata mondiale, si è tenuto a Palazzo Consolati l’incontro "Rare Disease Day 2023. Le malattie rare tra ricerca, innovazione e nuovi paradigmi", organizzato dal Coordinamento trentino associazioni malattie rare in rete. Michela Alessandra Denti, docente del Dipartimento Cibio, e Massimo Molinari, presidente f.f. dell’Associazione Emofilia in Trentino “Gabriele Folgheraiter” e rappresentante del Coordinamento, raccontano a UniTrentoMag i progressi della ricerca sulle patologie rare e le criticità che ancora persistono come la mancata presa in carico della persona con patologia rara in tutto il suo percorso di vita.
La prima parte del convegno si è concentrata sulla presa in carico della persona da parte del sistema sanitario. Perché questa sia davvero efficace, la sanità deve avvicinarsi sempre di più alla persona. Questo è l’obiettivo del Servizio sanitario centro provinciale coordinamento malattie rare U.O.M. (Unità operativa multizonale di pediatria), che accompagna i pazienti e le loro famiglie dall’età evolutiva fino alla delicata transizione alla medicina per adulti, e il progetto Dama, che invece facilità l’accesso al sistema sanitario alle persone con disabilità intellettive e relazionali.
La seconda parte è stata poi dedicata ai progressi della ricerca. Gli ultimi anni hanno visto passi in avanti come la nascita di nuove terapie basate sull’RNA e l’editing genomico. In parallelo, anche la formazione universitaria del personale medico ha subito molti cambiamenti. Maggiore peso è dato a un approccio in cui il benessere globale della persona viene messo al primo posto.
Tuttavia, esistono ancora molte sfide per arrivare a una medicina davvero inclusiva. «La strada da seguire è un cambio di paradigma, da un approccio biomedico a quello bio-psico-sociale», spiega Massimo Molinari. «Bisogna curare il corpo prestando attenzione al benessere mentale della persona, e alla sua condizione sociale. C’è ancora molto lavoro da fare inoltre sull’organizzazione del servizio sanitario. La presa in carico dovrebbe essere continuativa, a partire da quando una malattia rara viene certificata. Questo però non avviene nel passaggio dalla pediatria alla medicina per adulti: spesso non c’è una transizione adeguata e la persona viene abbandonata». La figura professionale del care manager potrebbe essere una possibile proposta per supportare il paziente nel percorso di cura.
Sono proprio questi i temi che propone il Coordinamento trentino associazioni malattie rare in rete. «Non basta ricordarsi delle malattie rare solamente il 28 febbraio. È necessario un impegno costante per tutto l’anno», continua Massimo Molinari. “Il Coordinamento punta a promuovere l’inclusione, l’equità, l’accesso alle cure, e la presa in carico delle persone con patologie rare. Inoltre, sosteniamo le azioni di donazioni anche collettive per la ricerca scientifica. Senza ricerca non c’è speranza: nel campo delle malattie rare queste due parole sono sinonimi».
Anche se si stima che esista una cura solo per il 5% delle persone affette da malattia rara, la scienza ha comunque fatto passi avanti importanti negli ultimi anni. «Molte malattie rare rimangono difficili da curare», spiega Michela Alessandra Denti, docente di biologia applicata al Dipartimento Cibio. «Ma allo stesso tempo per alcune malattie rare sono state realizzate delle terapie che possono migliorare la qualità della vita della persona. È il caso della SMA, che attualmente è trattata con tre farmaci. Uno agisce sostituendo il gene mancante e gli altri due lavorano sull’RNA messaggero di un gene che può sostituirlo, correggendone il processamento mediante un piccolo RNA oppure un farmaco più convenzionale. Se la diagnosi è molto precoce, allora grazie alla terapia il bambino non avrà problemi motori, con un enorme miglioramento della sua qualità di vita. Se la diagnosi è più tarda, il trattamento può comunque fermare il progresso della malattia».
Questo miglioramento non riguarda solo le terapie, ma anche gli ausili tecnologici. « “La distrofia muscolare di Duchenne non ha ancora una cura», prosegue Denti. “Fino a 20 anni fa costringeva chi ne è affetto alla carrozzina fin dall’adolescenza. Verso i 20 anni iniziavano ad avere difficoltà cardiache e respiratorie. Adesso esiste un macchinario portatile che li assiste nella ventilazione e permette loro di vivere anche fuori casa. Questi sono tentativi di dare una vita migliore alle persone, mentre si cerca una cura, che rimane l’obiettivo finale».
"Rare Disease Day 2023. Le malattie rare tra ricerca, innovazione e nuovi paradigmi" è frutto della collaborazione tra molte organizzazioni del territorio, a partire dal Coordinamento trentino associazioni malattie rare in rete, in collaborazione con il Dipartimento di Biologia cellulare, computazionale e integrata (Dip.Cibio) e il Centro interdipartimentale di Scienze mediche (Cismed). Si aggiungono poi il Dipartimento salute e politiche sociali della Provincia autonoma di Trento, la Consulta provinciale per la salute della Provincia autonoma di Trento, il Comune di Trento, l’Azienda provinciale per i servizi sanitari, Fondazione Bruno Kessler e la Federazione italiana malattie rare (Uniamo).