"L'intelligenza conversazionale è una delle aree più promettenti dell'intelligenza artificiale e della tecnologia del linguaggio naturale. Con l'aumento dell'interazione tra esseri umani e macchine, l'intelligenza conversazionale sta diventando sempre più importante per migliorare l'esperienza utente, semplificare le interazioni con i dispositivi tecnologici e fornire un servizio clienti di alta qualità".
Un po' freddo, un po' tecnico, forse con poco carattere. Formalmente ineccepibile. Abbiamo chiesto a ChatGpt di scrivere l’introduzione a questo articolo. ChatGpt, al secolo "Chat Generative Pre-trained Transformer", è il chatbot più in voga in questo principio di 2023. È lui il servizio a cui milioni di persone guardano per capire come cambierà il nostro modo di interagire con i computer e forse anche il nostro rapporto con la scrittura: in futuro, forse, non saremo noi a dover trovare le parole per raccontare qualcosa, ma sarà l’intelligenza artificiale a farlo. Uno scenario tutt’altro che futuristico se pensiamo quanto già gli assistenti vocali (Google, Siri, Alexa, Cortana…) siano entrati a far parte delle nostre vite.
Da buoni millennial (e per giunta della prima ora) abbiamo però preferito andare alla fonte e parlare con chi queste cose le studia tutti i giorni. Ci risponde Giuseppe Riccardi, ordinario di Ingegneria informatica ed Intelligenza artificiale conversazionale al Dipartimento di Ingegneria e Scienza dell’Informazione.
Professor Riccardi, cos’è l’intelligenza artificiale conversazionale?
«È la capacità dei sistemi di intelligenza artificiale di utilizzare i linguaggi verbale e non verbale per comprendere e comunicare con le persone. Come per noi umani, i contesti della conversazione e dell’interazione possono essere molteplici e, di conseguenza, la complessità e la conoscenza richiesta per poter instaurare un dialogo che sia appropriato, utile ed efficace».
Qualche esempio?
«Nei primi anni di questo secolo, sono state messe a terra alcune semplici ma efficienti applicazioni in ambito industriale. Sono applicazioni che permettono di gestire in maniera autonoma le richieste di milioni di clienti in soluzioni multicanali e multilingua, agenti conversazionali installati in dispositivi quali smart speaker, smartphone, smartwatch che aiutano a eseguire compiti relativamente semplici».
Cosa, invece, non può fare - per ora - l’intelligenza conversazionale?
«La conversazione in linguaggio naturale di un robot che interagisce in spazi fisici, virtuali e sociali è un tema di ricerca “antico” e anche un obiettivo di chi fa ricerca a lungo termine. In questa visione, le ricadute sulla società potrebbero essere molto importanti e ci proietterebbero in un nuovo tipo di società per proseguire la nostra coevoluzione uomo-macchina. Noi ricercatori, per la maggior parte, non pensiamo a un’opposizione tra l’uomo e la macchina, ma piuttosto a trovare lo “sweet spot” della loro interazione».
Si sta parlando molto di ChatGpt: cosa distingue questo servizio dagli altri?
«Questi modelli conversazionali si distinguono da quelli della generazione precedente per la quantità di dati usati nella fase di “addestramento”. Questi dati sono testi in linguaggio naturale raccolti da siti web (ad esempio, Wikipedia, Reddit), ma anche programmi in vari linguaggi (ad esempio Python).
L’altro aspetto che li distingue è quello generativo: sono in grado di generare risposte a partire da una richiesta di informazione in linguaggio naturale eseguendo una decodifica di una rete neurale, precedentemente addestrata.
Cosa è cambiato rispetto al passato?
Questi modelli di apprendimento automatico - machine learning - erano noti da tempo ed eravamo al corrente sia dei vantaggi, sia degli svantaggi. La novità è stata l’esposizione a milioni di persone che hanno utilizzato questo particolare tipo di tecnologia e si sono proiettati in un futuro prossimo. Un futuro dove i computer potrebbero essere accanto a loro per aiutarli. Ovviamente, in questo "esperimento" sono emersi più problemi e domande che risposte utili per una vasta comunità interdisciplinare».
Quali sono le sfide per il futuro?
«Fra le tante, ne voglio citare due. La prima è l’inclusione degli aspetti legati alla percezione e regolazione delle emozioni. Nonostante siano stati fatti molti passi avanti, rimane molto da fare per la gestione di un dialogo-uomo macchina e il coordinamento con i segnali strettamente linguistici. L’altro aspetto è quello dell’integrazione di facoltà cognitive quali il ragionamento e la comprensione del contesto sociale e applicativo della conversazione».
Quali sono i progetti di UniTrento in questo ambito?
«Ci sono diversi gruppi di ricerca nell’ambito dell'intelligenza artificiale conversazionale nel Dipartimento di Ingegneria e Scienza dell’Informazione e al Cimec.
Nell’ultimo progetto di ricerca finanziato da Horizon 2020, abbiamo sperimentato con successo un sistema conversazionale di intelligenza artificiale nell’ambito della salute e benessere mentale. Il primo al mondo. Nell’intelligenza artificiale moderna, stiamo cercando di progettare i sistemi in maniera tale che l’individuo sia parte del progetto fin dal principio e questo traccerà nuovi importanti orizzonti per chi fa ricerca e per la società stessa».