Foto: Adobe Stock

Ricerca

Tecnologie digitali contro il food waste

Uno studio del Disi ha passato in rassegna la letteratura scientifica sulle filiere agroalimentari e sul cibo perso e sprecato

19 luglio 2023
Versione stampabile
di Daniele Santuliana
Ufficio Stampa e Relazioni esterne

La lotta allo spreco alimentare è un tema trasversale che coinvolge a vario titolo tutte le componenti della società. La popolazione mondiale in crescita, ma ancor più i profondi cambiamenti climatici che stanno sconvolgendo il nostro pianeta, impongono un ripensamento radicale del nostro rapporto con il cibo: quello che mangiamo, ma anche quello che sprechiamo. È infatti risaputo che una percentuale significativa della produzione alimentare si perde: in parte, nelle fasi industriali di produzione, trasformazione e distribuzione; in parte, quando il cibo lascia il negozio per entrare nelle nostre case. Intervenire per eliminare, o perlomeno limitare, questi sprechi non è semplice, perché spesso manca una visione complessiva della filiera agroalimentare.

Marco Formentini e Caterina Trevisan, rispettivamente associato e dottoranda al Dipartimento di Ingegneria e Scienza dell'Informazione dell’Università di Trento, hanno da poco pubblicato un compendio della letteratura scientifica sulle tecnologie digitali per la prevenzione e riduzione dello spreco e della perdita di cibo nella filiera agroalimentare.

Abbiamo posto alcune domande al professor Formentini.

Partiamo dai concetti: cosa intendiamo con “cibo perso e sprecato”? E con “filiera agroalimentare”?

«La filiera agroalimentare, in inglese "agrifood supply chain", è la catena composta da tutti i soggetti coinvolti nella produzione, trasformazione, distribuzione e consumo del cibo. Lo spreco alimentare viene invece solitamente distinto in "food loss" e "food waste": il primo si riferisce alla perdita legata alla fase industriale; il secondo riguarda invece comportamenti attribuibili al consumatore finale».

Quale obiettivo si pone lo studio?

«Lo studio si pone l’obiettivo di indagare come le tecnologie digitali possano aiutare a prevenire, ridurre e ottimizzare lo spreco alimentare, considerando l’intera filiera. Personalmente, ho iniziato a occuparmi di questi temi nel 2015. Nel 2020, quando sono arrivato a Trento, ho potuto contare sul supporto di un bando strategico di Ateneo per progetti collegati all'emergenza Covid-19.
Oltre a questo, abbiamo cercato però anche di interagire con gli stakeholder locali per capire quali strumenti possano semplificare la comunicazione e il coordinamento dei diversi attori impegnati su questo fronte».

Da un punto di vista metodologico, come si è svolto il vostro lavoro?

«Quello che abbiamo fatto è una “systematic literature review”, una revisione sistematica della letteratura scientifica su questo tema. Abbiamo analizzato gli articoli scientifici pubblicati negli ultimi anni su alcune riviste internazionali come Resource Conservation & Recycling, British Food Journal e altre. Gli articoli sono stati selezionati in base a una serie di filtri, fino ad arrivare ai 48 presi in considerazione nello studio».

Qual è il target del vostro lavoro?

«Lo studio si rivolge sia a chi fa ricerca su questi temi, sia a chi lavora nel management dell’agrifood supply chain. La prospettiva adottata è naturalmente quella accademica. Il duplice target è funzionale anche a superare un problema diffuso in questo ambito di ricerca, vale a dire la visione frammentata tra i vari anelli della catena. Il digitale ci permette di ovviare in parte a questo problema, aiutandoci ad esempio a individuare le sorgenti di perdita e di spreco del cibo, quantificare e creare una base per la comunicazione tra i diversi attori per mettere in pratica azioni concrete nella gestione dello spreco alimentare».

Cosa è emerso dallo studio?

«Abbiamo analizzato i principali trend e soprattutto abbiamo cercato di capire quale può essere il contributo delle varie tecnologie digitali per la riduzione e l'ottimizzazione dello spreco alimentare. Questo ci ha permesso di evidenziare i limiti degli studi esistenti, ma anche di formulare una serie di raccomandazioni per chi si occupa di management della filiera agroalimentare e per chi fa ricerca su questi temi. Per esempio, dallo studio è emerso che le tecnologie digitali sono scarsamente applicate nel settore della ristorazione, nonostante vi sia ampio margine per ridurre gli sprechi alimentari.

Quali tecnologie digitali possono quindi aiutarci a limitare lo spreco di cibo?

«Questo dipende dalla fase della filiera agroalimentare. Le tecnologie sono molte, dall'intelligenza artificiale ai big data, dalla blockchain all’Internet of things. L’obiettivo è naturalmente quello di migliorare la comunicazione e il coordinamento tra gli attori della filiera per ridurre e ottimizzare lo spreco».

Qualche esempio di best practice?

«Tra le grandi aziende, possiamo citare Walmart e Barilla. Dal 2017, la multinazionale americana utilizza l’algoritmo Eden per valutare la qualità e la freschezza dei prodotti, con un risparmio annuo stimato in 86 milioni di dollari. Anche Barilla si è impegnata per adottare strategie volte a ridurre la quantità di cibo perso o sprecato nelle varie fasi della filiera. Un’altra esperienza interessante, oggetto di un altro nostro studio in fase di pubblicazione, è quella della piattaforma Regusto, che utilizza la blockchain per assegnare certificati di riduzione dell’impatto ambientale o addirittura crediti di carbonio a chi adotta determinati comportamenti, migliorando anche la precisione nella misurazione degli sprechi alimentari evitati. Le tecnologie disponibili, insomma, sono tante e il nostro studio vuole aiutare a identificare le più adatte in ogni singola situazione».

Per concludere: sarà il cambiamento tecnologico a portare con sé il cambiamento culturale oppure viceversa?

«Bisogna cercare di adottare entrambe le prospettive. La tecnologia inizia a fornire gli strumenti che facilitano le interazioni, la comunicazione, gli scambi e quindi la valorizzazione dello spreco alimentare. Questo, però non è sufficiente, perché serve appunto anche un cambiamento culturale e manageriale. Le aziende devono cioè interiorizzare i temi della sostenibilità e dell’economia circolare. Servono poi naturalmente anche incentivi a livello legislativo, in modo che la battaglia contro lo spreco alimentare diventi davvero patrimonio di tutta la comunità».