Dal bancone del laboratorio al computer per arrivare al letto del paziente. Al Dipartimento Cibio una pubblicazione su una rivista specialistica riassume i primi risultati di un progetto per rendere meno invasiva e più efficace la diagnosi e il monitoraggio dei tumori. L’obiettivo è potenziare la biopsia liquida, approccio che si basa su un semplice esame del sangue, andando a cercare nuovi indizi, quelli lasciati dalle vescicole extracellulari che circolano nel sangue e dagli RNA in esse contenuti. Per UniTrentoMag ci siamo fatti spiegare come funziona questo nuovo approccio e cosa possiamo aspettarci in futuro.
Analizzare il DNA presente nel sangue per intercettare segnali della presenza di un tumore è una prassi che solo negli ultimi anni si è fatta strada negli ospedali e nella clinica. Viene chiamata "biopsia liquida" e il suo studio è legato all’esplosione della genomica nell’ultimo decennio. Le informazioni contenute nelle cellule tumorali e nei frammenti di DNA o RNA che rimangono in circolo possono fornire importanti indicazioni sul tumore, come la probabilità di risposta alla terapia o di recidiva dopo il trattamento. Al momento gli studi in questo campo sono ancora in uno stadio precoce: sono in corso diversi trial di ricerca e vi è un’applicazione concreta solo per pochi tipi di tumore, come quello al polmone.
Certo la biopsia dei tessuti, tradizionale, è considerata al momento l'esame più accurato per la diagnosi di tumore. Ma la biopsia liquida è un approccio molto promettente che si affianca a quello tradizionale con alcuni vantaggi significativi per il paziente e per chi si occupa della diagnosi e della cura. Proprio qui si inserisce il progetto di ricerca guidato da Francesca Demichelis, professoressa ordinaria al Dipartimento Cibio e condotto da Vera Mugoni e Yari Ciani, assegnisti di ricerca nello stesso dipartimento e primi firmatari di un articolo pubblicato di recente sul Journal of Extracellular Biology. «Innanzitutto, un prelievo di sangue è molto meno invasivo rispetto a un intervento per ottenere la biopsia del tessuto tumorale. E se il prelievo è meno invasivo, allora diventa possibile ripeterlo più spesso nel tempo e monitorare meglio l’andamento della malattia. Talvolta poi può capitare che prelevare un campione di tessuto sia difficile per la posizione stessa del tumore. Ecco che con la biopsia liquida si riescono a ricavare le informazioni necessarie in un altro modo» spiegano Vera Mugoni e Yari Ciani.
La biopsia liquida non è proprio una novità: tanti gruppi di ricerca da anni in tutto il mondo analizzano i frammenti di DNA che circolano nel sangue. Ma l’esito della biopsia basato solo sulle tracce di DNA ad oggi non riesce a essere sufficientemente sensibile e quindi efficace quanto la biopsia tradizionale. Ecco perché il progetto Once (One Aliquot for Circulating Elements) ha deciso di spingersi oltre. I ricercatori hanno infatti deciso di forzare i limiti e potenziare l’affidabilità della biopsia liquida con un’idea precisa: andare a caccia anche di un altro prezioso indizio da combinare con il precedente. Questo nuovo indizio sono le molecole di RNA contenute nelle vescicole extracellulari in circolazione nel sangue.
E il risultato della loro intuizione è incoraggiante: se si combina l’informazione ottenuta dall’analisi del DNA circolante con quella dell’RNA contenuto nelle vescicole extracellulari si ottengono performance paragonabili alla biopsia tradizionale. Quindi una "super" biopsia liquida. «Siamo partiti da due considerazioni di base. La prima è che nel sangue circola sia il DNA, sia l’RNA, spesso incapsulato nelle vescicole extracellulari. E poi, sappiamo che nelle donne con determinate tipologie di tumore al seno è presente una quantità elevata di HER2, una proteina che funziona come biomarcatore del tumore. Lo sappiamo, perché viene rilevato solitamente nei tessuti con la biopsia tradizionale e la sua presenza e abbondanza vengono valutate per scegliere la miglior terapia da attuare. Quindi abbiamo pensato a un approccio analitico combinato (DNA e RNA) che permettesse di rilevare l’anomalia di HER2 nel sangue».
Ma cosa sono le vescicole e perché ci interessano tanto? «Sono nanoparticelle delle dimensioni di poche centinaia di nanometri, costituite da una membrana fatta di lipidi. Possiamo immaginare le vescicole come piccole palline» chiarisce Mugoni. «Vengono rilasciate dalle cellule, verosimilmente da tutte le cellule del nostro corpo, nei fluidi biologici come sangue, urina o saliva. A noi interessano perché trasportano biomolecole, tra cui proteine, piccoli metaboliti e acidi nucleici, incluso RNA. Sono proprio queste biomolecole a trasportare informazioni utili a determinare una eventuale presenza di un tumore e anche a definirne con buona approssimazione la quantità e la gravità. Trasportando biomolecole, di fatto informano anche noi sullo stato di salute del paziente. In pratica, funzionano come dei perfetti messaggeri».
Quindi l’idea di combinare questi due indizi? «L’idea non è nostra, ma è una recente intuizione emersa di recente nella letteratura scientifica» commenta Yari Ciani. «Ma la nostra novità è che ci basta un solo prelievo di sangue per esaminare insieme entrambe le componenti. Lo possiamo fare grazie alla combinazione di tecnica di laboratorio e capacità di analisi computazionale. Abbiamo messo a punto un protocollo di laboratorio che permette di estrarre in maniera sequenziale sia le vescicole extracellulari, sia i frammenti di DNA circolante. Massimizzare le informazioni usando più componenti allo stesso tempo dà grandi vantaggi».
Il risultato ottenuto in questo progetto è frutto di un lavoro di squadra all’interno del Dipartimento di Biologia cellulare, computazionale e integrata – Cibio. Un incastro di competenze molto diverse tra loro, ma tutte perfettamente in sintonia: il laboratorio di Oncologia computazionale e funzionale, guidato da Francesca Demichelis, è composto da una componente sperimentale e da una computazionale. Nel laboratorio sperimentale, in cui opera Vera Mugoni, il materiale biologico è stato testato e analizzato anche in collaborazione con il gruppo di Vito D’Agostino, professore associato al Dipartimento Cibio. Mentre nel laboratorio computazionale, dove lavora Yari Ciani, si svolge l’analisi computazionale dei dati generati e la definizione dei modelli matematici per testare le ipotesi dello studio.
Questo tipo di collaborazione interdisciplinare è in linea con quella che viene definita "Medicina traslazionale" o spesso si usa l’espressione “from bench to the bedside” (dal bancone di laboratorio al letto del paziente). È la nuova frontiera della medicina, un approccio nuovo. Perché trasforma le scoperte scientifiche provenienti dagli studi di ricerca di base in laboratorio in nuovi strumenti clinici e applicazioni che migliorano la salute umana. Per farlo si investe su un approccio multidisciplinare, sfruttando competenze di ricerca molto diverse tra loro e legandole in modo forte alla clinica. Così facendo si aiuta a ridurre l’incidenza, la frequenza e la mortalità delle malattie. La parte fondamentale è anche il dialogo con la parte clinica. «Certo, va detto che ci vorranno anni perché questi protocolli entrino nella prassi e dovranno senz’altro essere ulteriormente adattati alla clinica. Ma dal punto di vista tecnologico siamo molto vicini. E lo siamo anche per quanto riguarda le premesse per un possibile sviluppo di tipo applicativo nell’approccio alla cura dei tumori» precisa Ciani.
L’aggancio territoriale è uno degli aspetti che rendono questo progetto così concreto, così utile. Alla ricerca di base si aggiunge infatti un dialogo serrato con la clinica. «Abbiamo potuto collaborare con i clinici dell’Azienda provinciale per i servizi sanitari e, in particolare, con l’Ospedale di Trento» spiega Caterina Nardella, collaboratore di ricerca al Dipartimento Cibio e project manager del progetto. «Il lavoro fianco a fianco con Orazio Caffo, direttore dell’Unità operativa oncologia medica, con Antonella Ferro, responsabile clinica e coordinatrice della rete clinica Breast Unit, e con il direttore dell’Unità operativa di Anatomia patologica e professore UniTrento Mattia Barbareschi, è entrato nel vivo nel 2018. I prelievi sono stati eseguiti seguendo un protocollo, approvato dal Comitato etico dell’Ospedale di Trento, su pazienti affette da tumore alla mammella in stadio non metastatico e trattate con chemioterapia neoadiuvante. Su questo materiale è stata eseguita una biopsia liquida: un’analisi molecolare di tutte le componenti circolanti nel sangue. Lo stesso approccio che stiamo sperimentando sul sangue dei pazienti affetti da tumore alla prostata».
«Siamo soddisfatti di questi risultati, ottenuti grazie alla convergenza di tecnologie e competenze. Si tratta di un proof of concept che costituisce, di fatto, un punto di partenza per test di biopsia liquida sempre più informativi» aggiunge Francesca Demichelis.
Il progetto è stato finanziato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Trento e Rovereto (Caritro) nell'ambito della Convenzione 2016-20 con l’Ateneo, per garantire un sostegno a progetti strategici che prevedano risultati significativi, con potenziali ricadute per il territorio. Soprattutto se sono condotti da giovani ricercatori e ricercatrici che si impegnano per la collettività, a cui vengono anche destinate borse di dottorato per portare avanti progetti strategici. Quella di sviluppare il territorio attraverso la ricerca di qualità è una missione statutaria per la Fondazione. Nel solo 2022 ha infatti erogato quasi 3,2 milioni per la ricerca svolta in Trentino, che si sommano agli oltre 76 degli ultimi trent’anni.
A finanziare il progetto c’è anche la Fondazione Airc per la Ricerca sul Cancro che in questi anni si è spesa per sostenere vari progetti del Dipartimento Cibio ed in particolare al laboratorio della professoressa Demichelis per l’applicazione delle biopsie liquide nella ricerca e pratica clinica.
L’articolo Integrating extracellular vesicle and circulating cell-free DNA analysis using a single plasma aliquot improves the detection of HER2 positivity in breast cancer patients, apparso di recente su Jourmal of Extracellular Biology: https://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1002/jex2.108