La ricerca "Domani (Im)possibili", frutto del lavoro di Save the Children in collaborazione con Caritas, indaga la povertà minorile in Italia dal punto di vista di ragazze e ragazzi, analizzando come questa condizione influenzi il loro presente e il loro futuro. Emerge un quadro in cui le circostanze personali, familiari e di contesto hanno un impatto notevole sulle aspettative rispetto al proprio domani, a svantaggio di chi vive circostanze socioeconomiche sfavorevoli. Ne abbiamo parlato con Teresa Bertotti, professoressa associata di Servizio Sociale al Dipartimento di Sociologia e Ricerca sociale ed esperta di disagio famigliare e infanzia.
«Il dato da evidenziare riguarda non solo l’alto tasso di povertà che abbiamo in Italia ma che la povertà delle famiglie è maggiore rispetto a quella dei singoli, ovvero avere figli aumenta il rischio di povertà. Il lieve trend di riduzione degli ultimi due anni non è stato ugualmente distribuito nella società: gli adulti sono diventati leggermente meno poveri dei bambini», spiega Bertotti. Dalla ricerca emerge chiaramente che quando si parla di famiglie in povertà, l’insieme delle dinamiche socioeconomiche diviene più complicato, benché le famiglie possano sviluppare reti solidaristiche importanti.
Un gruppo di ricerca coordinato dalla professoressa Fargion del Dipartimento di Psicologia e Scienza cognitive, di cui Bertotti fa parte, ha appena concluso uno studio dedicato alla genitorialità in condizioni di incertezza (Coping - Constructing parenting in insecure grounds). Una delle quattro unità di ricerca ha indagato, nello specifico, la genitorialità in situazioni di povertà. «Ciò che emerge trasversalmente è il tema del riconoscimento, cioè il fatto che i genitori che vivono situazioni di povertà sentono che il sistema non riesce a riconoscere la fatica di questa condizione». Scuola e servizi sembrano avere un atteggiamento ambiguo nei confronti dei genitori in povertà, che oscilla tra la compassione e la colpevolizzazione. «Questo atteggiamento è forte nel mondo della scuola, dove i bambini possono confrontare la propria situazione con quella dei coetanei – come emerge anche dalla ricerca di Save the Children».
In questo scenario, solitamente i bambini e le bambine, con i loro vissuti e le loro idee, sembrano scomparire. «In genere, lo sguardo rispetto ai bambini è “adultocentrico”, ovvero centrato sulla prospettiva degli adulti, e si nota una difficoltà a vederli come persone che pensano, agiscono e reagiscono. Il valore della ricerca di Save the Children, così come di altri studi che stiamo portando avanti, è dare spazio a ciò che i più piccoli vivono e pensano».
La docente sottolinea come «accogliendo il loro punto di vista, si può osservare come bambini e bambine in condizioni di povertà si preoccupino per i propri genitori, nascondano situazioni che li fanno soffrire e possano arrivare ad auto-svalutarsi, provando spesso un sentimento di vergogna». Bertotti fa riferimento agli studi di Arjun Appadurai, dai quali emerge come «la capacità di aspirare non sia solo una caratteristica individuale»; essa, secondo questa prospettiva, deriva anche dal contesto sociale e da quanto questo sia capace di favorire l’immaginazione e rappresentare futuri possibili.
Un concetto che va tenuto in considerazione parlando di questo tema è quello dell’intersezionalità, originato negli studi femministi. «Possono esserci differenti questioni che contribuiscono a determinare una certa condizione». Dagli studi in materia emerge come, tendenzialmente, le donne siano più povere degli uomini e il razzismo contribuisca al perpetuarsi della trappola della povertà.
In riferimento al Trentino, si registra la presenza di una rete di servizi ben sviluppata e di un investimento pro-capite importante sui servizi alla persona, specialmente se confrontato con altre regioni in Italia. Questi dati veicolano la sensibilità sul tema nel territorio. «Questo è importante da sottolineare in relazione ad altri paesi – come quelli del Nord Europa – dove a bambine e bambini è dedicata più attenzione, in termini di investimenti, considerazione e partecipazione», spiega la professoressa. «Ciò che si constata nel nostro paese è un’eccessiva scissione tra i dati e le politiche, che risultano spesso dissonanti».
«È importante che tutti facciano uno sforzo per capire che quando, per esempio, parliamo di diritto allo studio o di risorse per le famiglie, non si parla solo della possibilità di rendere la vita più agevole e praticabile, ma anche di come si possano e si debbano nutrire desideri e riconoscimenti, contrastando l’idea, che pesa come un fardello costante, che il proprio valore dipenda dalla condizione economica».
Le rappresentazioni che i bambini e le bambine hanno di sé dipendono dalla ricchezza culturale, ancor prima che economica – per questo vanno rafforzate le life skills dei giovanissimi – ma anche da quanto i genitori si sentono stimati e apprezzati. «Se si guarda ai genitori con un atteggiamento che è prima di tutto di giudizio, a volte morale o pietistico, non si vede e quindi non si valorizza il loro impegno nel rendere i propri figli e figlie più fiduciosi nel futuro. Bisogna essere in grado di leggere le situazioni e valorizzarle, senza giudizio e con empatia. Questo è un messaggio importante per tutti, per gli operatori, gli insegnanti, gli educatori i professionisti e le persone in generale», conclude Bertotti.