Non una contrapposizione ideologica ma un atteggiamento conciliativo. Tra una visione ambientalista e una che propende per il benessere economico e il marketing territoriale. Ecco come va affrontato oggi il tema del turismo. Senza estremismi, né da una parte né dall’altra. In questo modo è possibile trovare un punto di equilibrio. Ne è convinto Umberto Martini, professore di Economia e Gestione delle imprese al Dipartimento di Economia e Management.
Guardando ai dati sull’andamento turistico nel 2023 in Italia elaborati dall’Istat, lo scorso anno il comparto nel nostro Paese ha fatto segnare un record storico, con 451 milioni di presenze nelle strutture ricettive. La regione con il maggior numero di ospiti è stata il Veneto (15,9% delle presenze nazionali), seguita dal Trentino-Alto Adige (12,4%). Cifre che senza dubbio fanno sorridere gli operatori del settore, ma che generano anche qualche riflessione sulla sostenibilità del sistema. «È chiaro che se noi vediamo la situazione esclusivamente dal punto di vista ecologico l’impatto è fortissimo», dice Martini. «Se noi leggessimo il fenomeno della sostenibilità – prosegue – solo con gli occhiali del suo significato ecologico e ambientale e, quindi, dell’impatto ecosistemico, dovremmo riconoscere che il turismo è una di quelle attività dell’uomo naturalmente insostenibili, al pari dell’industria o del commercio». Ma oggi le cose stanno cambiando. Ci si interroga su quale possa essere un modello di sviluppo del sistema turistico rispettoso del territorio e della sua cultura, e che al contempo rappresenti un volano economico. «Negli ultimi anni l’approccio alla sostenibilità insiste più su una visione sistemica. Che tiene conto della dimensione ecologica, sociale ed economica. Ecco che il tema diventa un problema di bilanciamento. Non dimentichiamoci che molti territori turistici tra cui il Trentino hanno avuto una crescita economia, sociale e culturale anche grazie al turismo». Dove collocare questo punto di equilibrio? «La sfida oggi è avere un turismo di massa sostenibile. Fino a qualche anno fa questo sembrava un ossimoro. Bisogna raggiungere un flusso di turisti che garantisca lo sviluppo economico e sociale in un territorio. Ma che non vada oltre i limiti di capacità di carico che renderebbero meno attrattiva la località, perché deturpata da un eccesso di persone. Serve un limite. Che può variare caso per caso e nel tempo. Oggi uno dei grandi temi è quello dell’overtourism, cioè la quantità di turisti talmente alta e concentrata in un posto da rendere addirittura insoddisfacente per gli ospiti stessi la presenza in quel luogo. Bisogna inoltre considerare il forte impatto che questo fenomeno ha su residenti e comunità locale, in termini di vivibilità, inquinamento ambientale, a volte degrado urbano. Proposte come quelle di un ticket per i turisti possono essere una soluzione? Andrebbero promosse anche sul nostro territorio ad esempio sui passi dolomitici o sui laghi naturali? «È una pratica che già trova applicazioni in molti contesti che però sono chiusi. Possiamo applicare questo principio a dei musei. Estendere questo ragionamento all’outdoor diventa difficile. L’esperimento in corso a Venezia è più semplice perché ci sono punti di accesso definiti. Più difficile farlo in una valle aperta o sui laghi del Trentino. Come Università stiamo facendo uno studio sul lago di Tenno insieme alle associazioni turistiche locali. Si è provato a ragionare di capacità di carico e a stimare un numero chiuso. Ma si tratta di un lago molto piccolo al quale si accede da un unico punto. Impensabile fare lo stesso, per esempio, sul lago di Caldonazzo». In Trentino abbiamo visto la neve in via Belenzani, impianti di risalita realizzati ex novo a quote dove la neve ormai non cade più, file interminabili per salire in cima alle Dolomiti. Va tutto bene? «Io personalmente non mi scandalizzo se in via Belenzani si tracciano 100 metri di pista per promuovere un evento internazionale. È una situazione limitata con un impatto marginale. Sull’altra questione invece, insistere sul realizzare impianti nuovi a bassa quota, credo che sia già in atto un ripensamento molto forte. È un passaggio culturale che sta accadendo. Quando sono Trentino Marketing, Confindustria, le società degli impianti, a parlare di sostenibilità, di emissioni, di economia circolare e a fare progetti per cercare di introdurre dei cambiamenti, vuol dire che si sta rompendo la diatriba tra ecologisti convinti schierati e lo sviluppo economico. Questo può darci qualche speranza per il futuro».
Quale approccio si sta seguendo in Trento per le politiche di sviluppo in ambito turistico? «Da tempo ci si si è resi conto che affrontare il tema della sostenibilità del turismo significa dare un futuro al turismo stesso», risponde il professore. «Le principali organizzazioni turistiche del territorio hanno cominciato ad avere dei piani strategici dove si parla di sostenibilità, limite, accesso, protezione delle risorse. Abbiamo la prima destinazione certificata Global Sustainable Tourism Council (Gstc), la Valsugana. E anche altri ambiti turistici molto frequentati come la Val di Fassa e il Garda trentino si stanno muovendo in questa direzione. Abbiamo bisogno delle persone che vanno a sciare – riflette il docente – perché senza la stagione invernale sarebbe compromessa. La sfida è trovare dei meccanismi che consentono di inquinare meno, usare meno acqua, meno energia, lasciare meno immondizia, produrre meno CO2. Queste sono azioni che si stanno facendo. Come attività di ricerca nel Dipartimento, abbiamo studiato diverse situazioni aziendali in Trentino, nelle Dolomiti e nella Alpi. Emerge una forte volontà di muoversi in questa direzione». A proposito di Università, questi sono temi che vengono affrontati anche in aula, come dimostra la decima edizione della laurea magistrale in Management della sostenibilità e del turismo del Dem. «Leggiamo il tema della sostenibilità e del turismo da diversi angoli visuali, con un’ottica multidisciplinare. Coniugando l’aspetto manageriale a quello culturale, storico, economico, psicologico».