La scienza procede per tentativi, avanza grazie alla riproduzione e alla conferma di studi precedenti. A volte, invece, impone di rivedere tutto ciò che prima si dava ormai per certo. È il caso di una sorprendente scoperta scientifica che da qualche giorno sta mettendo in discussione le convinzioni di chi si occupa di astrofisica. A riaprire la partita è uno studio che riguarda i raggi cosmici apparso sulla nota rivista Physical Review Letters, firmato da decine di scienziate e scienziati di ben 44 istituzioni tra Asia, Europa e America. Una collaborazione scientifica imponente, quella che gravita attorno a Alpha Magnetic Spectrometer (AMS-02), lo spettrometro che dal 2011 osserva ininterrottamente il cielo dalla Stazione spaziale internazionale.
Oggetto di questa lunga osservazione sono i 230 miliardi di raggi cosmici: particelle – come protoni, elettroni, nuclei e antiparticelle – che, generati dall’esplosione di una supernova, percorrono i campi magnetici della galassia a una velocità pari a quella della luce, fino ad arrivare alla Terra. Di che tipo sono, quale energia hanno, come si originano, come accelerano e si propagano nello spazio sono gli interrogativi su cui indaga la collaborazione internazionale. La risposta può infatti portare a considerazioni molto importanti per provare a comprendere come sia composta e come funzioni e la nostra galassia. A costruirne un modello il più possibile dettagliato.
Quando i raggi cosmici entrano nell’atmosfera terrestre si scontrano con i nuclei di cui essa è composta. La collisione produce una ‘doccia di particelle’ che a loro volta interagiscono o decadono creandone delle altre. Per poter osservare direttamente i raggi cosmici AMS-02 è stato installato sulla Stazione spaziale internazionale al di sopra dell’atmosfera.
«Studiare i raggi cosmici è un po’ come sedersi sulla spiaggia e vedere un po’ cosa ti porta la marea. Raccogliere frammenti di qualcosa che non puoi vedere ma solo intuire. Così i raggi cosmici ci portano informazioni su eventi lontani nello spazio e nel tempo che continuano a plasmare il nostro universo. Senza che noi possiamo osservarli direttamente. Sono tracce che riguardano gli elementi, la materia di cui sono fatte stelle e le nostre galassie» racconta Paolo Zuccon, professore di Fisica e coordinatore del Laboratorio di Fisica astro-particellare. «Potremmo descrivere i raggi cosmici come dei fuochi d’artificio che si originano dall’esplosione di una supernova. Così come le faville incandescenti si espandono, i raggi cosmici invece accelerano. E a forte velocità collidono generando residui di cui possiamo studiare la composizione».
Ciò che grazie alle rilevazioni arriva da questo mare celeste non è diverso dal solito. È la sua quantità a sorprendere. Oggetto di questa osservazione è il deuterio, un isotopo dell'idrogeno il cui nucleo è composto da un protone e un neutrone. La sua massa atomica doppia rispetto a quella dell’atomo di idrogeno gli ha fatto guadagnare l’appellativo di ‘idrogeno pesante’. Nelle rilevazioni condotte dalla collaborazione AMS-02 se ne è trovata una quantità molto superiore a quanto previsto. E proprio in questo sta la scoperta.
«Dalla teoria del Big Bang e da vari altri studi molto solidi di fisica delle stelle sappiamo che di deuterio in giro ce ne è relativamente poco», prosegue Zuccon. «Sappiamo che si forma durante la collisione, attraverso la frammentazione dell’isotopo Elio-4. Ci si aspetta che le tracce che arrivano a noi siano scarse e comunque in quantità analoga a quella dell’Elio-3, un altro isotopo che si origina con la collisione e che serve come termine di paragone a chi studia questi fenomeni. Invece di deuterio ne abbiamo trovato molto di più».
Da qui la sorpresa e subito la domanda: se non deriva dalla frammentazione dell’Elio 4, da dove potrebbe venire? Esiste un’altra sorgente? «Non lo sappiamo, possiamo fare solo delle ipotesi. Magari che il deuterio esista prima, a prescindere dalla collisione. O che ci sia qualcosa di errato nella nostra comprensione dei meccanismi che legano la sua origine con l’esplosione di una supernova? O il modello è incompleto o c’è dell’altro. Del resto, se ce n’è troppo, deve essere stato prodotto da qualcosa. Di certo i dati delle rilevazioni mettono in dubbio il modello standard dei raggi cosmici».
È così che uno studio di precisione nato come esperimento di conferma della densità attesa in un modello consolidato si è trasformato in uno studio di scoperta. E il merito è anche un po’ della ricerca trentina. Il gruppo di ricerca del Laboratorio di fisica astro-particellare dell’Università di Trento studia da anni i raggi cosmici e ha dato un contributo decisivo in questo studio.
Lo spiega Francesco Dimiccoli, ricercatore nello stesso Laboratorio e uno dei firmatari del paper su Physical Review Letters: «Cercare e misurare la presenza di Deuterio è un passaggio fondamentale per verificare le ipotesi della comunità scientifica. Ma per farlo serviva un lavoro di dettaglio. E per pubblicare risultati attendibili era necessaria la conferma di risultati identici prodotti da almeno due diversi gruppi che conducessero ciascuno un’analisi indipendente e con metodi diversi. Delle varie analisi avviate dalla vasta collaborazione internazionale, solo due sono arrivate a portare a termine il compito: il gruppo dell’Università di Madrid e il nostro. Entrambi abbiamo confermato – al di là delle attese – una maggiore presenza di Deuterio».
La collaborazione ha così pubblicato risultati talmente interessanti da guadagnare l’attenzione della comunità scientifica internazionale. A premiare il lavoro del team di ricerca trentino la perizia e la cura dei dettagli nell’applicazione delle procedure di misurazione e tanta determinazione. «Per costruire il modello di una galassia generata miliardi di anni e soprattutto delle sue parti – che non possiamo vedere né sentire - dobbiamo cercare di ottenere informazioni su un ambiente che non possiamo afferrare – chiarisce Dimiccoli. Possiamo usare i nostri occhi, che sono i grandi telescopi con cui osserviamo lo spazio. Possiamo aprire le orecchie, ascoltando il ‘rumore’ generato dalle onde gravitazionali, increspature nello spazio-tempo. Oppure possiamo usare il nostro fiuto. Studiare i raggi cosmici, secondo me, è un po’ come metterci il naso. Possiamo ricostruire informazioni dai raggi cosmici osservandone la composizione degli elementi che li compongono. È un tipo di fisica nuova, multi messanger, che procede combinando informazioni ottenute in modo diversi. E genera risultati inaspettati».
L’esperimento Alpha Magnetic Spectrometer (AMS-02) è nato da un’idea sviluppata nel 1995 da alcuni scienziati tra cui il premio Nobel Samuel Chao Chung Ting del MIT e il professor Roberto Battiston dell’Università di Trento. Avviato nel 2011, vede per l’Italia la partecipazione delle università di Bologna, Milano Bicocca, Perugia, Pisa, Roma Sapienza, Roma Tor Vergata e Trento oltre a Infn e Asi. I ricercatori e le ricercatrici italiane sono responsabili della realizzazione, del mantenimento e delle operazioni dei principali strumenti di bordo, e partecipano in prima persona all’analisi scientifica dei dati raccolti dallo strumento.
Nel Laboratorio di Fisica delle astro-particelle del Dipartimento di Fisica UniTrento per AMS-02 lavorano Roberto Battiston, Paolo Zuccon, Francesco Dimiccoli, Francesco Nozzoli (Infn-Tifpa), William J. Burger (Infn-Tifpa) e i dottorandi Francesco Rossi e Ahbindandan Dass. Il gruppo UniTrento-Tifpa è leader nell’analisi dei flussi isotopici e la ricerca di anti-materia di origine primordiale.