Gioco Sudoku, immagine da Adobe Stock

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Quando la mente va in vacanza

Studiare una lingua, giocare a Sudoku, oppure percorrere una strada nuova. Anche in estate, il nostro cervello va allenato

26 luglio 2024
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Linda Varanzano
Studentessa collaboratrice Ufficio stampa e Relazioni esterne

Quali attività permettono di tenere la mente in esercizio anche nei periodi di vacanza? Perché è così importante offrire nuovi stimoli al nostro cervello? Lo abbiamo chiesto a Yuri Bozzi, ordinario di Fisiologia e direttore del Centro Interdipartimentale Mente/Cervello (Cimec) dell’Università di Trento, e a Selene Schintu, ricercatrice in Neuroscienze cognitive.

«Tenere la mente allenata è fondamentale per compensare l’anno lavorativo. Quando siamo in vacanza, abbiamo il tempo per fare ciò che non riusciamo a fare nel resto dell’anno e questo porta a un miglioramento di fattori come stress, sonno e umore», risponde Schintu. «Tutti questi elementi – prosegue – influenzano notevolmente le nostre capacità cognitive, favoriscono la memorizzazione e migliorano l’attenzione». 

Va però subito tolto di mezzo un equivoco, ricorda Bozzi: «La mente va tenuta attiva durante tutto l’anno. L’allenamento aiuta la plasticità che consente al nostro cervello di adattarci a ciò che ci circonda».

Anche mantenere il corpo attivo ha grossi benefici sulla plasticità. «Gli studi, iniziati almeno trent’anni fa, hanno dimostrato come l’attività fisica sia importante per aumentare il numero di cellule nervose», spiega il docente. «Il cervello è fatto di cellule, i neuroni, che normalmente non si rigenerano. Questo vuol dire che alla nascita avevamo un numero di cellule nervose molto più alto di quello che abbiamo ora. Alcune ricerche hanno dimostrato però come anche nel cervello adulto possano nascere nuove cellule nervose, la cosiddetta “neurogenesi”. Perché ciò avvenga, però, è importante trovarsi in un ambiente arricchito, cioè un ambiente ricco di stimoli, e l’attività fisica ne è una componente fondamentale».

Queste attività sono importanti anche per rispondere in modo efficace ai primi sintomi di declino cognitivo. «I protocolli più recenti combinano sempre training cognitivo e training fisico», conferma Schintu. «Con il Centro di Riabilitazione neurocognitiva (Cerin) dell’Università di Trento abbiamo attivato durante la pandemia una piattaforma online, AllenaMente, con diversi esercizi organizzati per domini cognitivi. Già quasi mille persone, di ogni fascia di età, ne hanno usufruito. Questo fa capire che la stimolazione cognitiva non si divide per età o condizioni di salute».

Cosa si intende per stimolazione cognitiva e per chi è consigliata? «La stimolazione cognitiva prevede esercizi mirati ad allenare una facoltà specifica – risponde la ricercatrice – ad esempio la memoria. Banalmente, memorizzando un numero di telefono, cosa che ormai nessuno fa più. La tecnologia ha semplificato la nostra vita, ma al contempo può portare ad indebolire alcune delle nostre funzioni cognitive. Dobbiamo naturalmente sforzarci di fare cose challenging, sfidanti, che richiedono qualche tipo di apprendimento, non la semplice reiterazione. Questo va infatti ad agire sull’architettura del nostro cervello per rafforzare o riorganizzare le connessioni presenti, oppure per costruirne di nuove che si integrino nei circuiti, migliorando la plasticità cerebrale.

Se dovessimo quindi stilare un elenco delle attività più adatte a stimolare la mente durante la vacanza? «Di sicuro tutte quelle che coinvolgono l’apprendimento», spiega Schintu. «Ad esempio, imparare una nuova lingua, suonare un nuovo strumento musicale o provare un nuovo punto all’uncinetto, o ancora percorrere una strada diversa». E per quanto riguarda le parole crociate e gli altri classici passatempi da spiaggia? «In quel caso, le possibilità di apprendimento sono limitate e le facoltà coinvolte sono altre, soprattutto la memoria. Se proprio dobbiamo consigliare uno di questi rompicapi, il Sudoku forse sarebbe preferibile perché richiede capacità di calcolo e ci costringe a lavorare sull’attenzione spaziale, anche se, per chi lo fa spesso, diventa procedurale e quindi non più utile».