Affresco sulla parete della Villa dei Misteri dei Pompei. Foto Adobe Stock

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Tempo di otium

Quale valore davano a questa parola gli antichi romani? E che significato ha assunto nel nostro dizionario?

31 luglio 2024
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di Daniele Santuliana
Ufficio Stampa e Relazioni esterne

Come nasce l’idea di vacanza? E quella di "tempo libero"? Le popolazioni dell’antica Roma conoscevano questi concetti? A poche settimane da Ferragosto, ne parliamo con Sandro La Barbera, docente di Filologia greca e latina al Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università di Trento.

Professor La Barbera, partiamo dal concetto di otium. Cosa indicavano i romani con questa parola?

«Innanzitutto, dobbiamo dire che non conosciamo l’etimologia esatta della parola otium. Possiamo però capire meglio il suo significato mettendola in relazione con negotium/negotia, letteralmente “non-otium”: se negotia sono gli "affari" che tengono impegnati, l’otium è lo stato opposto, anche se non va nemmeno immaginata un’opposizione manichea tra le due dimensioni. In letteratura latina la parola otium assume significati o sfumature diverse a seconda di chi la usa, ma anche a seconda del genere letterario e delle aspettative del pubblico rispetto a un corpus testuale estremamente sofisticato. Per alcuni storiografi e filosofi, ad esempio, otium è il tempo dedicato alla scrittura, collegato talora all’impegno politico o teoretico. In alcuni testi comici, invece, otium è la nostra "pensione", cioè il riposo dopo una vita di lavoro.
Sicuramente, il suo significato era molto diverso da quello dell’italiano "ozio", marcato in senso negativo, e più vicino alla locuzione "tempo libero". La contrapposizione tra i due concetti, tra un otium positivo e un otium negativo, che troverà spazio anche nel cristianesimo, ha già però qualche riscontro nella romanità imperiale, per esempio quando Seneca nel suo "De otio" esalta come positivo solo il tempo libero dedicato alla filosofia in quanto contributo attivo allo Stato».

Possiamo fare un parallelo con la nostra idea di "vacanza" e "tempo libero"?

«È bene ricordare che, se stiamo pensando al nostro uso di scegliere cosa fare del nostro tempo libero, la possibilità teorica di scegliere tra otium e negotium, detto in modo un po’ semplicistico, riguardava un’esigua minoranza della popolazione romana. Da questo punto di vista, è difficile fare un paragone con il mondo contemporaneo, dove l’esperienza dell’ozio inteso come tempo libero è diventata di massa.
Il calendario romano prevedeva del resto vari momenti di sospensione generale delle attività – e in particolare dei negotia di natura giuridica. Pensiamo ai dies fasti e dies nefasti: i secondi sono quelli in cui non si possono discutere cause in tribunale. Le feriae sono invece giorni di riposo, più spesso però per i soli cittadini liberi e per chi apparteneva ai ceti più elevati. In tutti questi casi, però, il focus era sul valore rituale di quelle che perlopiù erano celebrazioni sacre, e non sulla possibilità di astenersi dal lavoro per un proprio vantaggio personale».

Parliamo proprio di feriae, termine mutuato poi dalla lingua italiana. Le più celebri erano forse quelle di Augusto, diventate poi il nostro ferragosto. Che rapporto c’è tra sacro e profano in queste giornate dedicate al riposo?

«Il termine feriae condivide la radice con fasti e nefasti e conserva una dimensione di sacralità. L’antinomia tra sacro e profano, però, pur presente nel linguaggio di queste celebrazioni, per come la comprendiamo oggi è forse più una dimensione ravvisabile in epoche culturali successive, e potenzialmente più con l’avvento del Cristianesimo. Nella romanità imperiale c’è una compenetrazione costante tra l’interpretazione dell’ordine cosmico e l’interpretazione dell’ordine sociale. Il mese di agosto era il sesto del calendario romano originario ed era perciò chiamato Sextilis. Il successivo nome di Augustus, “agosto”, è lo stesso del primo imperatore, Ottaviano Augusto, cui fu dedicato. Le kalendae di agosto, dedicate in età imperiale alle Feriae Augusti, avevano ancora una connotazione religiosa – cosa che non toglie naturalmente prassi celebrative anche, per così dire, ‘profane’. Così come, per le idi di marzo, la festa dedicata ad Anna Perenna, in occasione della quale Ovidio racconta venissero organizzati addirittura dei picnic. Sempre ad agosto, ma verso la fine del mese, c’erano i Consualia, dedicati al dio dei granai. Anche in quel caso sembra ci fosse una sospensione del lavoro. Tutto viene poi però rielaborato e reinterpretato nei secoli successivi anche con una cooptazione al calendario cristiano».

Per qualcuno, i romani hanno anche inventato il concetto di villeggiatura con le loro villae d’otium. È davvero così? Cos’ha in comune quel tipo di esperienza con la villeggiatura come la intendiamo noi?

«Innanzitutto, anche in questo caso, va distinta l’esperienza delle élite da quella delle masse. Oggi, sicuramente la vacanza è un fenomeno di massa, così come l’otium inteso come "tempo libero". È vero però che nella zona dell’antica Baiae e dei Campi Flegrei si trovavano molte villae d’otium. In questo senso l’esperienza era sì generalizzabile nelle sue linee complessive, ma sempre all’interno di uno specifico gruppo sociale. Le villae d’otium, tra l’altro, rispondevano a un’esigenza molto sentita in età imperiale che era quella di controllare l’ambiente affinché questo rispondesse a un proprio bisogno».