L’8 novembre scorso il Dipartimento di Psicologia e Scienze cognitive, in collaborazione con l’Azienda provinciale per i Servizi sanitari e il Comune di Rovereto, ha organizzato al Teatro Zandonai la prima conferenza italiana sull’uso di sostanze psichedeliche nel trattamento clinico. Nel corso della giornata si sono alternati sul palco esperti provenienti da tutta Europa e dagli Stati Uniti, venuti a presentare i risultati delle ricerche emersi negli ultimi anni. L’evento è stato seguito da una giornata con vari seminari d’approfondimento all’Auditorium Melotti. Ornella Corazza, professoressa di Psicologia clinica all’Università di Trento ed esperta in materia di dipendenze, racconta la conferenza a UniTrentoMag.
Professoressa Corazza, quali sono stati gli argomenti principali della conferenza?
«La conferenza era dedicata all'utilizzo delle sostanze psichedeliche nel trattamento di vari disturbi mentali in pazienti che non traggono beneficio dalle terapie convenzionali. In Italia, non sono ancora stati avviati trial clinici sull’uso degli psichedelici. Per questo con Nicola De Pisapia e Gianluca Esposito del Dipartimento di Psicologia e Scienze cognitive ed Ermelinda Levari del Servizio delle Dipendenze dell’Azienda Provinciale per i Servizi sanitari (Apss) abbiamo deciso di organizzare queste due giornate di approfondimento sul tema. Abbiamo avuto la possibilità di ospitare ricercatori provenienti da tutta Europa come Kim Kuypers, dell’Università di Maastricht, David Erritzoe e Tommaso Barba, dell'Imperial college di Londra, Matthias E. Liechti dell’Ospedale universitario di Basilea. All’estero lavorano quotidianamente sia con soggetti sani, sia con pazienti affetti da varie psicopatologie che vengono trattati usando sostanze psichedeliche. Abbiamo avuto modo di analizzare anche gli aspetti etici e legali con Marion Haberkamp dell’Agenzia europea dei medicinali (Ema) e altri ospiti internazionali. Il giorno successivo abbiamo fatto tre workshop, il primo dedicato alle questioni cliniche, quindi in sala c'erano molti psicoterapeuti, psicologi, psichiatri e altri esperti di salute mentale interessati all'argomento, il secondo incentrato sugli aspetti legali ed etici, il terzo focalizzato sugli early career, pensato per chi vuol fare ricerca e studi nel campo».
Quali sono gli ambiti clinici in cui questo tipo di terapie mostrano maggiore efficacia?
«Le terapie psichedeliche hanno la potenzialità di poter migliorare la qualità della vita di pazienti affetti da diverse condizioni, tra cui depressione resistente ai trattamenti, ansia, disturbo da stress post-traumatico (Ptsd), disturbi ossessivo-compulsivi (Doc) e altre patologie non rispondenti ai farmaci tradizionali. Queste terapie si basano sull'induzione di esperienze profonde e spesso trasformative, che possono avere un impatto non solo psicologico, ma anche spirituale. L'intensità dell'esperienza psichedelica sembra correlare positivamente con l'efficacia del trattamento, sottolineando l'importanza di un'integrazione psicoterapeutica al fine di evitare rischi di natura psicopatologica e gestire meglio eventuali effetti collaterali.
Queste esperienze, spesso ineffabili e difficili da tradurre in parole, possono offrire ai pazienti una nuova prospettiva sulla vita, contribuendo al loro benessere emotivo.
Quali sono invece le sostanze utilizzate?
Tra le sostanze più utilizzate, troviamo la psilocibina (contenuta nei funghi allucinogeni), efficace nel trattamento della depressione e dell'ansia; l'Mdma, usata principalmente per alleviare i sintomi del Ptsd; e l'Lsd, che ha mostrato benefici in ambiti come la riduzione dell'ansia esistenziale nei pazienti oncologici. La ketamina, sebbene non considerata un vero psichedelico, è inclusa spesso per i suoi effetti rapidi sulla depressione severa. Occupandomi di dipendenze, sono particolarmente interessata all’applicazione di questi studi non solo in termini di dipendenze da alcol e altre sostanze, ma anche nel campo delle dipendenze comportamentali, sempre più diffuse nelle nostre società, come nel caso del disturbo da gioco d’azzardo.
È tuttavia necessaria molta cautela. Nonostante l'aumento del numero di studi clinici controllati, le conoscenze disponibili rimangono preliminari. Inoltre, la complessità e la varietà di queste sostanze richiedono prudenza nel trarre conclusioni sulla loro reale efficacia, utilità e sicurezza in ambito clinico».
Secondo la sua esperienza, quali sono le principali sfide nella sensibilizzazione dell'opinione pubblica e della comunità scientifica su questo tipo di terapie?
«Uno degli ostacoli principali è rappresentato dai pregiudizi, spesso derivanti da una scarsa conoscenza dell'argomento, della natura delle esperienze indotte e dei risultati ottenibili. Questi pregiudizi sono radicati in decenni di disinformazione e associazioni negative legate all'uso ricreazionale di queste sostanze. Per questo motivo, è fondamentale organizzare eventi informativi e divulgativi, come quello della scorsa settimana, per aumentare la consapevolezza e promuovere una discussione basata su evidenze scientifiche, seppur ancora preliminari.
Ritengo fondamentale collaborare sia con chi si occupa della parte clinica, sia con il settore politico, per garantire a chi fa ricerca l'opportunità di studiare queste sostanze seguendo protocolli rigorosi e metodologie sempre più avanzate, assicurando al contempo la sicurezza dei pazienti e la validità dei risultati.
C'è ancora molto lavoro da fare per abbattere le barriere culturali e istituzionali. Tuttavia, si intravedono segnali positivi: stiamo iniziando a ospitare i primi congressi sul tema, un passo importante verso una maggiore apertura e una nuova fase di ricerca e di potenziale applicazione clinica».
Lei è anche una delle direttrici dell’Addiction Science Lab con il quale si occupa di diagnosi e trattamento delle dipendenze, oltre che della ricerca sul tema, vuole parlarci dei suoi ultimi progetti?
«Non potendo ancora somministrare sostanze, all’Addiction Science Lab stiamo collaborando a vari studi focalizzati sullo studio delle esperienze soggettive. Vogliamo capire meglio che cosa succede durante un'esperienza psichedelica e guardare al significato che queste esperienze potrebbero avere da un punto di vista clinico. Collaboriamo con altre università nel Regno Unito e in Europa ad alcuni studi sull'ansia e la depressione che sono in fase di pubblicazione. Come ho accennato prima, non potendo ancora condurre trial clinici, è molto importante tenersi aggiornati. Anche per questo siamo stati molto lieti di aver organizzato questa conferenza. Gran parte del pubblico era formato da studentesse e studenti universitari. Questo tipo di curiosità e apertura al sapere è fondamentale non solo per accrescere le conoscenze individuali, ma anche per alimentare una futura generazione di professionisti impegnati nella ricerca e nell’intervento clinico».