Panettoni e pandori fanno la loro comparsa sugli scaffali dei negozi già in ottobre. Mercatini e addobbi arrivano nelle città almeno un mese prima del 25 dicembre. Gli inviti al consumo si moltiplicano. La pratica religiosa diminuisce e le chiese non si riempiono più nemmeno per la messa di mezzanotte. Ma quali sono ragioni ed effetti di un Natale sempre più anticipato e svuotato di sacralità? E come è cambiato il modo di viverlo? UniTrentoMag ha raccolto l’analisi di Andrea Cossu, professore del Dipartimento di Sociologia e Ricerca sociale, che si occupa di sociologia della cultura e della memoria. Il sociologo spiega che oggi il Natale diventa soprattutto un'opportunità di incontro e di ricostruzione di socialità che si festeggia nella convivialità. Una novità sono poi le feste di fine anno celebrate sempre più spesso in piazza invece che con un gruppo ristretto di persone, come di solito accadeva.
Professor Cossu, com’è scandito il nostro calendario?
«In Italia abbiamo un calendario affollato di festività, soprattutto nel periodo che va dal primo novembre al 31 dicembre. A stabilire i giorni festivi, tra civili e religiosi, è la legge 260 del 1949 (“Disposizioni in materia di ricorrenze festive”). Da un lato c’è il quadro legislativo, e dall’altro ci sono le pratiche e sono queste a dare senso al modo in cui si scandisce il tempo sociale. Nel corso dei decenni è avvenuto un doppio movimento. Da una parte, sono entrate nuove pratiche come Halloween e il Black Friday (legato alla festa del ringraziamento statunitense). Dall’altra, con la secolarizzazione e il forte permanere di un senso religioso per strati importanti della popolazione, le principali feste religiose sono diventate soprattutto momenti fortemente comunitari. A queste si aggiungono le feste più intime: compleanni, onomastici, anniversari. E, ancora, la festa di San Valentino, la giornata della donna e così via. La nostra vita sociale è insomma in buona parte celebrativa. C’è un nesso inscindibile tra la nostra identità individuale e collettiva e le pratiche di celebrazione. Possiamo dire che siamo ciò che celebriamo. E che, quasi in un calendario à la carte, scegliamo quale festa celebrare e come farlo».
Il Natale sembra destagionalizzato con inviti al consumo sempre più anticipati, già a cominciare dall’autunno. Da cosa dipende e quali sono le conseguenze di questo fenomeno?
«Le feste ci invitano al consumo e c’è una forte spinta commerciale a battere la concorrenza con una proposta sempre più anticipata di prodotti natalizi. Noi, però, siamo legati all’alternanza del tempo del lavoro e della festa e vediamo negativamente l’invito ad anticipare così tanto l’acquisto di panettoni e pandori e dei regali di Natale. Quindi non è solo un fastidio nei confronti della società dei consumi, ma qualcosa di radicato nella nostra competenza sociale, che lega la nostra identità ai tempi di vita e, tra questi, ai tempi della festa».
A proposito di regali, quali sono le tendenze?
«Assistiamo a una contrazione dei consumi. Negli anni Ottanta si spendeva molto. Ora è calata la capacità di spesa e c’è una maggiore inclinazione alla sobrietà o all’acquisto utile».
È cambiato il modo di intendere la solidarietà?
«Direi che si è diversificato con una pluralità di proposte. Rispetto alla solidarietà intesa in maniera tradizionale, si è diffusa l’abitudine di acquistare prodotti solidali e prodotti locali anche come tentativo di decommercializzare le feste. Accanto a questo resta comunque presente una forte spinta solidaristica, nelle donazioni alla Chiesa o alle associazioni, un esempio di quella partecipazione al volontariato e alla solidarietà che può sembrare occasionale ma non per questo è meno diffusa».
Il Natale era soprattutto messa di mezzanotte e pranzo in famiglia. Qual è il nuovo modo di viverlo e celebrarlo?
«Il Natale è meno messa e più incontro sociale. La sacralità parla solo a una parte di persone, la pratica religiosa tende a scemare. Natale diventa un’opportunità di incontro e di ricostruzione di socialità da festeggiare nella convivialità. Si diffondono le cene con amici, colleghi, gruppo sportivo, circolo e così via. Diventa anche opportunità di convivialità multiculturale per incontrare la presenza delle persone di altre appartenenze e pratiche. Le feste cristiane – come quelle ebraiche, quelle islamiche e di altre tradizioni religiose - diventano un’opportunità formidabile di relazione, conoscenza e convivenza».
E l’ultimo dell’anno come si attende e si festeggia?
«Le feste di fine anno parlano a tutte le persone perché la transizione da un anno all’altro, il passaggio di anno, è marcato di attese, buoni propositi, progetti. Il tempo della festa è quindi anche un tempo proiettato al futuro. Una delle novità è che si festeggia sempre più spesso in piazza. Una volta l’abitudine era di festeggiarlo in un gruppo ristretto di familiari o amici. Ora invece le feste di fine anno si celebrano spesso in piazza, come un momento collettivo. È anche un modo per riappropriarsi dello spazio pubblico delle nostre città».