Allungare e aprire la mano per afferrare un oggetto. Un gesto naturale, che si compie senza farci caso. In realtà, è frutto di un’architettura complessa all’interno del sistema nervoso centrale umano. Un meccanismo sofisticato che può incepparsi in presenza di alcune malattie. Uno studio sulla rivista Pnas, che vede corresponding author Luigi Cattaneo del Centro interdipartimentale Mente/Cervello – Cimec dell’Università di Trento, descrive cosa accade nelle persone con tumore al cervello e offre le prime prove sperimentali dell’associazione tra il deficit della presa e una determinata area cerebrale.
«Immaginiamo di vedere una tazzina e volerla afferrare. Questo semplice compito richiede di elaborare in tre dimensioni la posizione e la forma della tazzina e di integrarle con la direzione dello sguardo e la posizione del corpo. Solo così si riuscirà a produrre il movimento adeguato per afferrare la tazzina». Cattaneo fa intuire così la complessa regia che produce la capacità di afferrare un oggetto, che ne determina la riuscita o l’insuccesso.
«Gli esseri umani esplorano il mondo prevalentemente attraverso la visione. Le informazioni visive sono poi utilizzate per interagire con tutto ciò che ci circonda. Sebbene la trasformazione di visione in azione ci sembri un processo spontaneo e naturale, i suoi meccanismi neurali sono estremamente complessi», spiega.
Lo studio, dal titolo “The neural bases of the reach–grasp movement in humans: Quantitative evidence from brain lesions” (https://doi.org/10.1073/pnas.2419801122) pubblicato sulla rivista Pnas, segna una svolta in quanto documenta le prime prove sperimentali di questi specifici meccanismi.
«Abbiamo individuato il network di aree cerebrali necessario per trasformare le informazioni visive in azioni dirette verso oggetti. Grazie allo studio con tecniche di motion capture dei movimenti di afferramento, in un gruppo di pazienti con lesioni cerebrali, abbiamo osservato che specifici deficit di afferramento sono associati a lesioni in una regione molto ristretta del lobo parietale dell'emisfero sinistro».
L’articolo è stato firmato da Luigi Cattaneo del Centro interdipartimentale Mente/Cervello – Cimec dell’Università di Trento assieme a Valeria Di Caro, Paola Cesari e Francesco Sala del Dipartimento di Neuroscienze, Biomedicina e Scienze del Movimento dell’Università di Verona e nasce da una stretta e virtuosa collaborazione di lunga data, in particolare con l’unità di Neurochirurgia, che ha reso possibile la raccolta dei dati sui pazienti.
Lavoro e gruppo di ricerca sono stati coordinati da Cattaneo e lo studio è stato condotto su 33 persone con tumori cerebrali.
Luigi Cattaneo descrive così l’attività che è stata svolta: «Nei 33 pazienti abbiamo mappato il contributo delle diverse parti del cervello per l’afferramento. È così che abbiamo trovato prove di un’architettura neurale umana specifica in cui la geometria dell'oggetto porta la persona a preparare, con un processo predittivo, l’apertura della mano necessaria per afferrarlo. L’esercizio consisteva nell’afferrare prima una pallina di due centimetri di diametro e poi un’altra di otto. Con telecamere a infrarossi (tecniche di motion capture) abbiamo registrato quanto il cervello sia bravo nel “leggere” geometria e dimensioni dell’oggetto da prendere e nel predisporre la presa della mano e l’esecuzione del movimento».
Lo studio ha permesso quindi di documentare la corrispondenza tra ampiezza delle lesioni in una specifica area del cervello e deficit nella capacità di afferramento.
Con implicazioni promettenti sia per il progresso scientifico sia per la qualità di vita delle persone malate di cancro. I risultati, infatti, da un lato forniscono informazioni preziose per la fisiologia umana e il funzionamento del cervello. Dall’altra permetteranno di pianificare procedure chirurgiche di contrasto al tessuto tumorale attente a minimizzare l'impatto degli interventi sulle funzioni motorie del paziente.