Avete mai udito la voce delle montagne? O quella dell’erba accarezzata dal vento? Immaginate di essere in quota, immersi nel verde. Chiudete gli occhi e provate a immaginare i suoni, le vibrazioni, i fruscii che percorrono lo scenario nel quale vi trovate. È il paesaggio sonoro, quello che arriva dall’ambiente circostante e che però si intreccia con la percezione più intima e personale di chi ascolta. Una voce fatta anche di silenzi e che a volte purtroppo si disperde nel rumore che arriva dal modo di frequentare la montagna oggi. Un invito a fermarci, a concentrarci e a tornare a un modo più consapevole di vivere la natura arriva dal documentario “Silenzi in quota”, inserito nel cartellone del Trento Film Festival. È il risultato di un progetto di ricerca scientifica condotto da Simone Torresin, ricercatore del Dipartimento di Ingegneria civile, ambientale e meccanica dell’Università di Trento, partito da un’idea Giacomo Gozzi (musicista e studente dell’Università di Trento), diretto da Andrea Paternolli (videomaker) e Mario Pedron (fotografo) e coordinato dal punto di vista scientifico insieme a Tin Oberman (ricercatore sul paesaggio sonoro alla University College London).
Uniti dalla passione per la montagna, amanti delle spedizioni in alta quota, con microfoni, questionari, sensori, apparecchi di registrazione binaurale e monaurale, hanno esplorato il fragile equilibrio tra natura e antropizzazione, registrandone l’aspetto acustico. Attraverso passeggiate sonore, hanno guidato centinaia di partecipanti dalle Dolomiti trentine ai Cairngorms scozzesi, alla scoperta di un ascolto attivo dei paesaggi e di una tranquillità che rischia di scomparire. Esperienze che sono state immortalate sulla pellicola. Un documentario di 26 minuti che racconta le quasi 20 spedizioni svolte dal 2021: una raccolta di registrazioni audio spaziali che rivelano il contrasto tra il desiderio di fuga dalla città e un turismo spesso inconsapevole che replica in quota gli stessi suoni urbani. «L'intenzione – spiega Torresin – era di cercare, dal punto di vista della ricerca, di caratterizzare la percezione del visitatore anche in maniera quantitativa. Questo è difficile perché il suono non è visibile e la sua percezione è fortemente soggettiva. Però ci abbiamo provato, cercando di raccogliere caratterizzazioni sul luogo, sulla vista, sull'udito, descrivendo per esempio quale tipo di sorgente si ascolta e che caratteristiche sonore ha». Le passeggiate sonore si sono svolte spesso in luoghi interessati da un turismo di massa, dove le persone sono poco abituate a porsi in ascolto dell’ambiente: dal Lago di Braies alla Pale di San Martino al Lago di Carezza, solo per citarne alcuni. Durante l’escursione i ricercatori hanno cercato angoli silenziosi e hanno invitato le persone ad ascoltare. «Oltre all’aspetto scientifico del nostro lavoro, all’attività di Citizen science e di public engagement, quello che volevamo fare era lasciare un messaggio. E cioè che a volte cerchiamo di allontanarci dalla città per trovare momenti di rifugio in montagna. Poi però anche qui replichiamo alcune dinamiche da cui cerchiamo di scappare. Un invito a fermarci, ad ascoltare e a immaginare un modo più consapevole di vivere l’alta quota». Durante le passeggiate, come si vede bene nel video, le misurazioni binaurali sono fatte con un manichino che registra l’audio circostante. «Questa è una pratica comunque abbastanza innovativa e da quanto ne sappiamo non c'è mai stato uno studio sull'arco alpino. C'è un preprint su questo – anticipa il ricercatore – che ha già passato il primo round di revisione su Scientific Reports. I dati di percezione che raccogliamo attraverso il questionario abbinati con quelli di psicoacustica restituiti dalle registrazioni, dall'analisi delle registrazioni, sono disponibili in un database, che dopo la pubblicazione sarà accessibile a tutti».
L'idea dei ricercatori è quella di contribuire alla tutela di aree naturali fragili, che spesso sono tutelate per ciò che riguarda il paesaggio visivo (landscape), ma non per quello che concerne il paesaggio sonoro, (soundscape), portando dei dati a supporto dei decision makers.
L’obiettivo del gruppo di lavoro è di essere pionieri nell’applicazione delle norme ISO 12913 - pensate per gli ambienti urbani (piazze, città) nei parchi nazionali naturali e fornire suggerimenti per ulteriori miglioramenti dello standard basandosi sui dati raccolti da altre località. Il viaggio raccontato nel documentario, senza voler spoilerare troppo, parte da Trento e arriva in cima. Lungo il percorso una serie di interviste accompagna il pubblico verso, si spera, nuovi orizzonti, più sostenibili e rispettosi dell’ecosistema. Ma qual è il valore aggiunto di osservare, guardare, ammirare ciò che vediamo con le orecchie? «Noi siamo esseri multisensoriali – risponde Torresin che continua – riusciamo a dare senso a un senso al luogo, alle circostanze, non attraverso singoli sensi ma mettendo insieme tutte le informazioni che arrivano dal tatto, dal gusto, dalla vista, dall'olfatto e dai suoni. Spesso lo facciamo inconsciamente. Anche per il suono magari ce ne accorgiamo in negativo, quando viene introdotto qualcosa che non è in armonia con il contesto. Il nostro è un invito a fermarci ad ascoltare e a pretendere che vengano messe in atto delle azioni per garantire dei posti dove possiamo essere in pace, dal ristorante alla montagna». Per questo progetto Torresin ha anche ricevuto l’Highly Commended John Connell Soundscape award 2023, premio noto come “Oscar del rumore”.
Il documentario “Silenzi in quota” sarà proiettato sabato 3 maggio al cinema Modena. Maggiori informazioni, anche per prenotare i biglietti, sono disponibili sul sito del Trento Film Festival. Il trailer è disponibile a questo link.
Anche quest’anno, in occasione della 73ª edizione della kermesse le Università di Trento, Innsbruck e Bolzano promuovono un premio speciale congiunto. Una giuria formata da nove studenti e studentesse (tre per ateneo) assegnerà il riconoscimento a un/una regista under 33 che si distinguerà con un'opera di grande valore culturale.