Ci sono quattro progetti dell’Università di Trento tra quelli selezionati dalla Fondazione per la valorizzazione della ricerca trentina - Vrt all’interno del bando “Transizione alimentare”. La call, lanciata a inizio 2025, puntava a incentivare lo sviluppo di soluzioni sostenibili e innovative all’interno della filiera agroalimentare. UniTrentoMag approfondirà i progetti selezionati attraverso una serie di articoli dedicati.
Ricordano nel nome i prodotti Igp, Doc o Dop, ma in realtà non hanno nulla a che fare con le indicazioni geografiche o le denominazioni protette. Sono i prodotti cosiddetti ‘evocativi’, quelli pensati per agire nella mente del consumatore assimilando prodotti generici ad altri certificati. Il tema dell’evocazione, negli aspetti correlati alla neuropsicologia e alle neuroscienze, è studiato da Elena Maria Rusconi, docente al Dipartimento di Psicologia e Scienze cognitive. La professoressa Rusconi ha di recente ottenuto un finanziamento dalla Fondazione Vrt per “No-Evo”, un progetto che punta a creare una piattaforma per la protezione del patrimonio enogastronomico territoriale.
Professoressa Rusconi, quali sono le dimensioni del fenomeno?
«Non esistono statistiche ufficiali per i casi di evocazione, che di solito sono conteggiati in una classe di illeciti più ampia. Possiamo però immaginare che l’incidenza sul totale degli illeciti sia piuttosto alta, considerato quanto sia semplice proporre e commercializzare prodotti evocativi».
Alcuni casi di evocazione di prodotti italiani?
«Da tempo conosciamo episodi abbastanza eclatanti di prodotti sanzionati dall’autorità giudiziaria. Raramente tali notizie raggiungono un pubblico più vasto di quello costituito dagli addetti ai lavori ma si tratta di informazioni contenute in atti giudiziari consultabili. Ad esempio, il formaggio tedesco Cambozola, che la Corte di Giustizia Ue ha ritenuto evocativo del Gorgonzola, oppure l'olio Toscoro, evocativo di quello toscano Igp; o ancora il Giglio Sardo, che richiama nel nome il Dop Fiore Sardo. Più geograficamente vicini a noi sono il caso del formaggio Altopiano di Asiago, evocativo di quello Dop, e il Grana Biraghi, che ricorda troppo da vicino il Grana Padano. E questi sono solo esempi di casi che hanno raggiunto i tribunali».
Qual è il danno per le aziende e per il Made in Italy?
«Non abbiamo dati ufficiali sull'evocazione, però Coldiretti stima che il valore globale del falso Made in Italy agroalimentare sia attorno ai 120 miliardi di euro all’anno, un terzo dei quali è riferito agli Stati Uniti. È molto probabile che i prodotti Dop e Igp siano tra quelli più presi di mira, proprio perché hanno una particolare reputazione, una notorietà e un legame specifico con il territorio».
Quali sono invece i rischi per i consumatori?
«Queste pratiche commerciali scorrette prendono di mira prodotti che sono considerati custodi della tradizione, presidi di qualità e sicurezza. Oltre a provocare danni economici alle aziende – misurabili negli introiti e nei posti di lavoro mancati – possono comportare rischi per la salute di chi li consuma e, più in generale, perdita di fiducia nel sistema delle certificazioni. Possiamo immaginare che un prodotto che non rispetta le specifiche previste dal disciplinare abbia qualità organolettiche molto diverse e inferiori rispetto al prodotto con indicazione geografica certificata».
Da qualche settimana si parla molto di dazi. C'è il rischio che aggravino la situazione?
«I dazi rappresentano un elemento di disturbo sul mercato delle indicazioni geografiche, con il rischio di danni non solo economici, ma anche reputazionali. Non è difficile prevedere che aumenti l’incidenza dei prodotti generici e che i prodotti evocativi punteranno a sostituire quelli certificati. Per quanto riguarda il mercato dei vini negli Stati Uniti, Coldiretti prevede una sostituzione del 70-80%. Qualcosa si sta già muovendo: pensiamo al Calsecco, un vino californiano realizzato – come recita la pubblicità – “secondo la tradizione veneziana”, che punta chiaramente a sostituire il Prosecco sulle tavole americane».
Come ci si può difendere? Cosa propone il progetto “No Evo”?
«Il contrasto all'evocazione compete in primo luogo al Ministero delle Politiche agricole, i cui uffici ricercano attivamente i possibili illeciti, online e offline. Il progetto “No-Evo” punta invece a lavorare sul fronte del comportamento, studiando come il consumatore agisce difronte alle pratiche evocative e sviluppando strategie per aumentare la consapevolezza e le difese del consumatore stesso. Più precisamente, con “No-Evo”, si vuole creare uno strumento fondato su competenze teoriche e tecniche di psicologia sperimentale per immunizzare i consumatori dagli effetti dell'evocazione. Il finanziamento di Fondazione VRT ci permetterà di acquistare strumenti utili a raggiungere questi obiettivi, ad esempio sistemi innovativi di eye tracking per tracciare il movimento oculare e capire cosa può attrarre o indurre in errore nel momento dell’acquisto. Questo rappresenta il punto di partenza per costruire una piattaforma digitale con esercizi e attività finalizzate all’addestramento contro l'evocazione».