Tra i sedici i progetti selezionati dalla Fondazione per la valorizzazione della ricerca trentina, che per i prossimi sei mesi beneficeranno di un sostegno economico dedicato allo sviluppo di idee innovative, due di quelli firmati UniTrento si impegnano nel ripensare il packaging alimentare in chiave sostenibile e intelligente. Uno dei due progetti è già in corso nei laboratori del Dipartimento di Ingegneria industriale, dove si lavora allo sviluppo di un nuovo materiale compostabile in ambito industriale per gli imballaggi alimentari. Il secondo partito proprio in questi giorni sarà dedicato alla progettazione di packaging esperienziali, pensati per prodotti innovativi nel settore food & beverage.
Nuovi materiali per gli alimenti. A metà aprile i ricercatori e le ricercatrici del Dipartimento di Ingegneria industriale hanno cominciato a lavorare al progetto Compostack. L’obiettivo è quello di creare un nuovo materiale per imballaggi alimentari, frutto della combinazione tra due componenti principali: la cellulosa batterica e l’acido polilattico. «Ognuno di questi materiali ha punti di forza e di debolezza. L’idea di unirli nasce proprio dalla volontà di valorizzare le loro qualità, compensando al tempo stesso i difetti» spiega Giulia Fredi (foto a destra), ricercatrice del Dipartimento di Ingegneria industriale e responsabile del progetto a cui collaborano anche i ricercatori Sara Mantovani, Edoardo Zonta e il professor Alessandro Pegoretti.
La ricerca vede la collaborazione della start-up veronese Bioniks, specializzata in materiali bio-based, tra cui proprio la cellulosa batterica. «Se essiccata correttamente la cellulosa offre un’ottima barriera ai gas, ma risulta sensibile all’umidità. L’acido polilattico, invece, ha una buona resistenza all’umidità, ma non è altrettanto efficace come barriera ai gas. Combinandoli a strati, possiamo ottenere un materiale che unisce il meglio di entrambi: protezione dai gas, resistenza all’umidità, buona lavorabilità e, soprattutto, compostabilità».
I primi risultati mostrano già la grande versatilità del materiale che, se stratificato in maniera strategica, consente di ottenere da film più sottili e flessibili a strutture più rigide, adattandosi così a un gran numero di possibili confezioni. «Il materiale che abbiamo realizzato ha uno spessore di circa 150 micron: è più spesso di un sacchetto da frutta, ma più sottile del tetrapak – prosegue Fredi – potrebbe adattarsi bene, per esempio, a confezioni come le vaschette per mirtilli. Il nostro processo produttivo è sufficientemente flessibile da consentire anche spessori inferiori o superiori, il che ci permette di progettare soluzioni di packaging molto diverse tra loro».
Parlando del contributo fornito dalla Fondazione per la valorizzazione della ricerca trentina conclude: «Il finanziamento è fondamentale: ci consentirà di acquistare i materiali necessari per portare avanti il lavoro, gli accessori, i gas per le prove di permeabilità, i forni per essiccare i materiali. Una parte importante sarà riservata anche alla divulgazione scientifica. Intendiamo pubblicare i risultati, partecipare a conferenze e coprire i costi delle pubblicazioni open access per valorizzare al meglio il nostro lavoro e quello dei nostri partner».
Packaging "intelligenti". Il 30 aprile ha preso il via anche un altro dei progetti finanziati dalla Fondazione, nato dalla collaborazione tra il Dipartimento di Economia e Management e quello di Psicologia e Scienze cognitive dell’Università di Trento. L’obiettivo è quello di sviluppare nuovi modelli di packaging alimentari che sfruttano le potenzialità dell’intelligenza artificiale.
«Studieremo come i consumatori si relazionano a prodotti alimentari innovativi come “Hyper”, un energy drink senza caffeina sviluppato da Goliem, la startup che collabora ed ha cofinanziato il progetto, ma anche cibi a base di farina di insetti come cracker e patatine» spiega Nicolao Bonini (foto a sinistra), professore di Psicologia generale al Dem, direttore del laboratorio di neuroscienze del consumatore (NClab) e referente della ricerca. «L’obiettivo è capire qual è il modo più efficace per avvicinare i consumatori e comunicare con loro. Non tutti reagiscono allo stesso modo: c’è una forte eterogeneità nei comportamenti e nelle percezioni. Per questo puntiamo a una profilazione più sofisticata, che non si limiti ai dati sociodemografici, ma includa anche aspetti psicologici».
In questo contesto entra in gioco un chatbot intelligente, in grado di raccogliere informazioni personalizzate e adattare le sue risposte in tempo reale. «L’interazione parte con la semplice scansione di un Qr code. Da lì, la chatbot avvia una breve profilazione iniziale attraverso alcune domande mirate, continuando allo stesso tempo a raccogliere informazioni in modo implicito nel corso della conversazione, costruendo un profilo sempre più accurato dell’utente», racconta Bonini. «A differenza di molte chatbot impiegate nel settore bancario o sanitario, che si basano su logiche di profilazione piuttosto elementari, il nostro approccio punta più in alto. Possiamo farlo anche grazie a una lunga esperienza di studio dei processi decisionali maturata nel Laboratorio di neuroscienze del consumatore e alle competenze del Dipartimento di Psicologia e Scienze cognitive, che da anni studia il funzionamento del cervello».
Per il Dipartimento di Economia e Management, questo è il primo progetto finanziato attraverso il bando della Fondazione Vrt. «Per noi è un riconoscimento molto importante. In questi casi di solito vengono premiati progetti più “tecnici” o ingegneristici. Il progetto non interviene sul prodotto in sé, ma sulla comunicazione che lo accompagna, utilizzando l’intelligenza artificiale in modo mirato e personalizzato. Ed è proprio questo approccio, ancora poco comune, che riteniamo possa fare la differenza. Capire come le persone prendono decisioni, con il supporto dell’intelligenza artificiale e delle neuroscienze, può rivelarsi uno strumento efficace per tutelare il consumatore. Questa conoscenza può anche essere messa al servizio del marketing sociale per incentivare scelte più sane e consapevoli. Pensiamo, ad esempio, a chatbot in grado di guidare le persone nella scelta di un protocollo terapeutico o di uno stile alimentare salutare. Più la profilazione è accurata, più l’interazione diventa efficace e, di conseguenza, più alta sarà la qualità delle decisioni».