Cosa accade dopo l'“extra omnes”? Basteranno pochi scrutini o si dovrà arrivare al ballottaggio? Il conclave suscita curiosità sui media come nelle aule universitarie. «Il gossip vaticano e il totopapa con le “pagelle” dei cardinali spopolano anche sui giornali più seri», sorride Francesca Oliosi, che tiene i corsi di Diritto canonico, Diritto comparato delle religioni e Diritto ecclesiastico alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Ateneo di Trento. «A lezione mi fanno molte domande sulle procedure di elezione. Si rendono conto che la Chiesa è una realtà complessa, interessante da studiare e da conoscere meglio».
Dottoressa Oliosi, quali sono le novità del conclave chiamato a eleggere in questi giorni il successore di papa Francesco?
«Sarà il conclave più numeroso e più globale di sempre. Con anche qualche problema di coordinamento e incertezza. Per esempio, si è superato il limite dei 120 porporati elettori che era stato indicato da Giovanni Paolo II. Dei 136 convocati, dopo il ritiro di due cardinali per motivi di salute e dopo il passo indietro del cardinale Giovanni Angelo Becciu, a entrare nella Cappella Sistina saranno in 133 e per diventare papa si deve ottenere la maggioranza qualificata dei due terzi, quindi 89 voti. Altra peculiarità è il forte imprinting dato al collegio degli elettori da papa Francesco: i cardinali creati da lui sono la maggioranza assoluta. In molti casi i cardinali non si conoscono tra loro e le riunioni (congregazioni) per illustrare i meccanismi del conclave servono anche a questo».
L’ìmprinting bergogliano potrà far propendere per un papa di continuità?
«Papa Francesco in 12 anni ha creato ben 163 cardinali, dei quali 108 sono oggi elettori. Il precedente che più si avvicina è quello di Pio IX, che in 31 anni di pontificato plasmò quasi per intero il Sacro Collegio. Nel conclave che si aprì alla sua morte, tra i 61 cardinali solo il Decano era stato creato cardinale da Gregorio XVI, l’immediato predecessore di Pio IX. Eppure dal conclave del 1878 non uscì un Pio X, bensì Leone XIII… Insomma, non è scontato che la preminenza “bergogliana” porti a un successore in continuità con il carisma di Francesco».
Nell’attuale conclave, quali sono i fattori che possono far convergere i voti su un candidato? Si possono leggere queste elezioni con le lenti che si usano in ambito politico?
«Per chi crede, il voto dipende dallo Spirito Santo. Non si tratta di qualche forma di estasi collettiva o di rituali da romanzo di Dan Brown, bensì di un’opera di ispirazione divina delle menti e dei cuori e di illuminazione delle azioni umane. È dunque un fattore trascendente, un’elezione intraducibile negli schemi politici umani, non riconducibile ad altre esperienze di voto. Sarebbe anzi bene mostrare cautela nello schematizzare le dinamiche tra “grandi elettori” progressisti e conservatori.
Detto ciò, alla fine diventa papa il cardinale su cui c’è convergenza e in questa fase creare convergenza significa convincere di poter conciliare due istanze complesse da armonizzare. Da un lato, la volontà di “capitalizzare” e stabilizzare quanto fatto, con una forte impronta personale, da papa Francesco; in questa direzione, per esempio, sono state molto esplicite le affermazioni fatte durante le omelie dei novendiali del già Segretario di Stato e del Vicario per la Diocesi di Roma, i cardinali Parolin e Reina. Dall’altro lato, si pone la necessità di metabolizzare quanto è accaduto durante questo pontificato, che ha talora aperto fronti interni. Non si tratta di “concedere rivincite” ai “conservatori” dopo anni di “governo progressista”, ma di prestare attenzione a che la Chiesa possa procedere con passo armonico in una direzione condivisa. Ci sono figure che possono avere le doti necessarie, ma non sono quelle più esposte mediaticamente. Credo che, chiunque sarà l’eletto, il prossimo pontificato sarà molto diverso, non per sostanza ma per forma e modi, da quello che abbiamo visto concludersi.
Gli ultimi conclavi sono stati piuttosto brevi, in pochi scrutini si è arrivati all’elezione e credo che il prossimo conclave non farà eccezione. Ne sortirebbero troppe speculazioni sullo stato di salute complessiva dell’istituzione».
Contano le provenienze geografiche dei cardinali elettori?
«Papa Francesco ha scelto i cardinali soprattutto in base alla loro provenienza pastorale. Quindi è questa la cifra che accomuna quelli nominati da lui che ora siedono nel conclave. Non punterei su un italiano solo per motivi geografici, dopo l’apertura a papi di Paesi diversi con il polacco Giovanni Paolo II, il tedesco Benedetto XVI e l’argentino Francesco. Potrebbe essere il tempo dell’Africa o dell’Asia, anche se, soprattutto nel caso dei “papabili” africani, si preannuncerebbe un pontificato carismatico, legato alle esperienze di chiese giovani, forti e spesso temprate dalle persecuzioni. Occorre però tenere presente che il governo della Chiesa è molto complesso e che le incombenze della Curia romana richiedono esperienza per essere padroneggiate e una più spiccata sensibilità per la storia delle istituzioni occidentali. Si tornerà all’antico dilemma: Papa di curia o Papa di missione?».
Possiamo parlare di un’eredità scomoda del Papa "venuto dalla fine del mondo"?
«Papa Francesco ha portato tutta la sua sensibilità per le persone fragili, la fratellanza, la solidarietà, la giustizia sociale, l’ecologia. È stato un Papa “pop” fin dal suo primo “Buonasera”. Ma, a volte, ha avuto una spontaneità eccessiva, che mal si è conciliata con l’altro grande tema con cui il Pontefice deve confrontarsi: il carisma non suo personale, ma dell’istituzione e del ruolo che egli ricopre, e rispetto al quale la persona del Papa è al servizio. Ha inoltre gestito in modo non sempre sereno i rapporti interni, con la Curia romana come con le conferenze episcopali. Ora serve un nome capace di ricomporre, di ricucire».
Che ne sarà del documento finale del Sinodo? Verrà messo in un cassetto?
«La sinodalità è stata una delle parole chiave di Francesco. Con il Sinodo ha voluto dare ascolto alla Chiesa universale, fino alle comunità più lontane e piccole. Dipenderà dal prossimo Papa la decisione di valorizzare o archiviare il documento sinodale. Nella Chiesa sinodalità non è sinonimo di democrazia, è uno degli equivoci che andranno fugati. La legge suprema della Chiesa, come afferma l’ultimo canone del Codice di Diritto canonico, è la salvezza delle anime e non la si può raggiungere per tentativi, mettendo ai voti di volta in volta una proposizione, una tesi o il loro opposto».
Qual è oggi la reputazione del Papa nella società e nel contesto geopolitico?
«Il Papa è un’autorità unica, a livello universale. Gode notevole reputazione anche tra i non cattolici, come Carlo III d’Inghilterra anche tra chi non è monarchico. Il Pontefice è un capo di Stato che ha un’intensa politica estera, fatta soprattutto di moral suasion. Ha un ruolo di leadership, di orientamento, di sensibilizzazione, in particolare nella promozione del dialogo e della pace. Pensiamo a ciò che papa Bergoglio ha scritto nella Fratelli tutti, ma anche ai suoi incessanti appelli per la pace. L’immagine di Trump e Zelensky che si sono incontrati a margine dei funerali, che hanno scelto il Vaticano come terreno neutro, è stata colta nella sua potenza. È un’immagine evocativa di tutto ciò e di quello che la Chiesa ancora rappresenta. La capacità del futuro Pontefice di dialogare e di tenere unita la Chiesa in tutte le sue sensibilità diverse è l’elemento chiave per mantenere in buona salute questa proiezione verso l’esterno dell’istituzione papale».