In Trentino, quasi una persona su cinque con almeno 14 anni è attiva nel volontariato, una quota che supera di oltre il doppio la media nazionale. Il dato, raccolto da Istat per il 2023, è significativo, ma rischia di restare piuttosto arido se considerato da solo. Perché dietro i numeri c'è molto di più: una rete di legami, storie e valori che rafforzano il tessuto sociale e aiutano a sviluppare competenze preziose per il mondo del lavoro. Per esplorare questa dimensione spesso trascurata, un team guidato da Ericka Costa, docente di Economia aziendale al Dipartimento di Economia e Management con la partecipazione di Irene Ambrosi, assegnista di ricerca all'Università di Trento, ha avviato uno studio per misurare l'impatto sociale, culturale ed economico di questo fenomeno. I primi risultati sono stati presentati sabato 17 maggio nell'ambito della manifestazione "La Piazza del Volontariato".
La ricerca, realizzata in collaborazione con il Centro Servizi Volontariato (CSV) del Trentino, il Comune di Trento e con il supporto di UniCittà, è partita a marzo 2024, anno in cui Trento è stata "Capitale Europea del Volontariato". Nella fase iniziale, il team di ricerca ha analizzato la letteratura scientifica e i principali report sul volontariato, evidenziando l'assenza di modelli in grado di coglierne pienamente la complessità. «Per superare questo limite – spiega Costa – abbiamo scelto un approccio misto. Sono stati sviluppati due questionari distinti: uno rivolto alle organizzazioni che coinvolgono volontari nelle proprie attività e uno alla cittadinanza attiva, per esplorare il fenomeno a livello individuale. A queste indagini si sono aggiunte interviste qualitative, condotte principalmente online, per ottenere una visione più completa del ruolo del volontariato nel contesto trentino».
Il questionario indirizzato alle organizzazioni di volontariato ha coinvolto 82 realtà attive principalmente nei settori della cultura, dello sport, dell'assistenza sociale e della sanità. Insieme, queste organizzazioni contano 18.207 soci, 4.596 volontari e volontarie e 859 lavoratori dipendenti. I dati raccolti offrono un quadro interessante e dinamico: i volontari sono in maggioranza adulti, con una forte presenza di over 64, ma anche una componente giovanile significativa. Il livello di istruzione è generalmente elevato, con molti volontari e volontarie in possesso di diploma o laurea. Le entrate delle organizzazioni provengono principalmente da enti pubblici, donazioni private, tesseramenti e contributi di enti privati. Le donazioni in denaro rappresentano il 95% del totale, per circa 3,7 milioni di euro, ma non mancano i contributi materiali, come cibo, spazi, attrezzature, veicoli e consulenze, elementi cruciali per sostenere le attività quotidiane. Ma come avviene il primo contatto con le organizzazioni? Il passaparola resta il principale canale di reclutamento, seguito da stand durante manifestazioni e campagne di comunicazione mirate. «Molti di questi dati supportano le nostre previsioni – afferma Costa – ma ci sono anche elementi che hanno attirato la nostra attenzione, soprattutto riguardo alla capacità delle organizzazioni di fare rete. Infatti, se da un lato esiste una forte collaborazione tra realtà del terzo settore e cittadinanza attiva, dall'altro l'interazione con imprese, fondazioni e università risulta ancora limitata: ad esempio solo il 15% delle organizzazioni ha sviluppato progetti di ricerca con enti accademici, evidenziando un potenziale ancora inespresso».
Il secondo questionario del progetto di ricerca è stato rivolto direttamente alle persone che dedicano parte del loro tempo al benessere della comunità, con l'obiettivo di esplorare esperienze, motivazioni e opinioni sul volontariato. L'indagine ha raccolto 164 risposte complete, rivelando alcuni dati interessanti. «Ci aspettavamo di trovare soprattutto persone in pensione – chiarisce Costa – ma i dati raccontano una storia diversa. La maggior parte dei rispondenti è donna (63,41%), appartiene a una fascia d'età compresa tra i 30 e i 54 anni (40%), lavora come dipendente (47,88%) e ha un livello di istruzione elevato, con una laurea triennale o magistrale (59,39%). Si tratta quindi di persone che si dividono tra vita familiare e vita sociale». Chi fa volontariato non è solo impegnato per gli altri, ma si sente anche parte attiva della comunità: il 92% si percepisce ben integrato nel proprio contesto sociale e il 97% ritiene che questa esperienza abbia rafforzato la consapevolezza dei propri bisogni e di quelli collettivi. Non a caso, molti si definiscono ‘cittadini e cittadine del mondo’, sottolineando come il volontariato sia anche un modo per ampliare il proprio orizzonte e comprendere meglio le complessità sociali.
Tra i tanti aspetti emersi dalla ricerca, uno colpisce in particolare: per chi lo pratica, il volontariato è una vera palestra di competenze, sia soft che hard, spendibili anche nel mondo del lavoro. Tra le abilità più citate dai partecipanti troviamo empatia e capacità di ascolto (93%), responsabilità civica e motivazione (91%), creatività (88%), curiosità e apprendimento continuo (86%). Sebbene meno diffuse, anche competenze più tecniche come gestione progetti e social media sono state acquisite da oltre il 40% dei volontari. «Questi risultati, confermati anche dalle interviste – sottolinea Costa – dimostrano come il volontariato sia in grado di offre esperienze formative difficili da replicare nei contesti educativi formali come scuola e università». Eppure, questa ricchezza resta spesso invisibile: il 75% dei volontari ritiene che le competenze acquisite dovrebbero essere riconosciute anche in ambito professionale. Un riconoscimento che farebbe la differenza, soprattutto perché la ricerca svela alcune criticità: poca spinta dalle istituzioni e difficoltà personali rischiano di spegnere la fiamma del volontariato a lungo termine. «Fare volontariato ha un impatto positivo sulle competenze dei lavoratori – aggiunge Costa – e potrebbe essere valorizzato attraverso strumenti come il volontariato d'impresa, che prevede il coinvolgimento diretto dei dipendenti in attività sociali durante l'orario di lavoro. Un modo per far sì che il volontariato non sia più solo un'attività 'altra', ma una parte integrante della vita delle persone, con benefici concreti per comunità, imprese e lavoratori».