C’è chi ama navigare nella propria comfort zone e chi invece preferisce il mare aperto del cambiamento. Tra questi approcci opposti, una gamma di sfumature diverse. Sono sei gli archetipi di manager delle risorse umane individuate da Roberta Cuel, professoressa di Organizzazione aziendale al Dipartimento di Economia e Management dell’Università di Trento. La sua ricerca entra nelle pieghe di queste figure professionali da una prospettiva socio-simbolica. UniTrentoMag ha voluto saperne di più.
La realtà è complessa e la categorizzazione è un processo che, pur con tutti i suoi limiti, offre degli strumenti per interpretarla e comprenderla meglio. Così Roberta Cuel con il gruppo di ricerca CnowLab prova a spiegare con sei archetipi chi ostacola e chi favorisce il cambiamento organizzativo. Lo studio si è svolto nel corso del 2023 e 2024 e ha coinvolto circa 80 manager delle risorse umane di aziende italiane organizzati in 16 focus group regionali. L’obiettivo era esplorare l’evoluzione del ruolo professionale e spiegare le dinamiche operative ed emotive che si manifestano durante i processi di trasformazione.
«Nella maggioranza dei casi osservati la loro azione professionale resta ancorata alla conservazione dell’esistente anziché proiettarsi verso una riprogettazione anche sistemica», commenta Cuel.
Ma quale metodo è stato adottato? «Attraverso l’approccio del “lavoro socio-simbolico” abbiamo analizzato le loro attività quotidiane e le interpretazioni che essi stessi attribuiscono al proprio operato secondo tre dimensioni», commenta Cuel.
«Le dimensioni del lavoro socio-simbolico sono quelle del lavoro identitario (Self-work), organizzativo (Organizational work) e sistemico (Institutional work). La prima riguarda le attività messe in atto per ridefinire la propria identità professionale, le proprie competenze e gestire la sfera emotiva. La seconda si focalizza sul mantenere o modificare le politiche e le pratiche interne all’organizzazione. La terza contribuisce alla ridefinizione di norme di settore, significati e visioni del lavoro esterne all’organizzazione».
I sei archetipi emergono dall’incrocio di queste tre dimensioni con l’efficacia dei processi trasformativi del proprio ruolo. I nomi sono sintomatici.
La categoria “Self-Made Visionary” è proattiva e lungimirante. Investe nello sviluppo personale, allinea la propria crescita con obiettivi, valori e aspirazioni dell’organizzazione e di chi ci lavora, vede il ruolo che svolge riconosciuto da altri manager come dal personale.
“Comfort Zone Cruiser” fotografa HR manager che privilegiano stabilità personale e processi consolidati, manifestano una resistenza endemica al cambiamento. Lo sviluppo professionale è orientato alla difesa dello status quo. Rappresentano quindi un potente meccanismo di conservazione dell’esistente.
“Ordinary Hero”, profilo emerso durante la crisi pandemica, ha saputo poi consolidare la posizione centrale aggiunta con la sua capacità di integrare competenze tecniche e visione trasformativa. Dimostra di saper catalizzare l’innovazione organizzativa verso modelli più sostenibili e resilienti.
“Wannabe Hero” sono dirigenti delle risorse umane che aspirano a posizionarsi come agenti strategici del cambiamento, ma non riescono a esserlo. Si caratterizzano per fragilità nel processo di legittimazione. Percepiscono riconoscimento più dal livello operativo che dal vertice strategico dell’organizzazione.
L’etichetta di “Industry Activist” si applica a manager che sfidano lo status quo. Il loro raggio d’azione trascende i confini dell’azienda e contribuisce e contribuisce all’evoluzione di pratiche delle risorse umane e alla ridefinizione di modelli di lavoro su scala più ampia.
Con “Rulebook Regulator” si descrivono dirigenti che si concentrano soprattutto sull’aderenza (compliance) a norme esterne e protocolli procedurali interni. Questa focalizzazione diventa un vincolo alla capacità di trasformazione e di cambiamento richieste oggi dalle organizzazioni.
«Il modello degli archetipi fornisce una mappa interpretativa che consente agli HR manager di diagnosticare il proprio posizionamento e pianificare traiettorie evolutive, intercettando limiti e vincoli anche auto-imposti», chiarisce Cuel.
Formazione continua, robuste competenze tecniche, capacità di networking all’interno e all’esterno dell’organizzazione emergono come strade attraverso le quali manager delle risorse umane sono riusciti ad avere un ruolo effettivo di cambiamento e di trasformazione per l’azienda.
«Infine, è necessario adottare un approccio sistemico, integrato e consapevole rispetto ai diversi significati del proprio lavoro. Così si massimizza il significato delle azioni verso un cambiamento che può essere duraturo. La trasformazione in corso rappresenta un’opportunità senza precedenti per professionisti HR», conclude la professoressa.
I risultati dello studio, di Roberta Cuel e dei/lle colleghi/e di CnowLab, sono stati pubblicati in un articolo su Personnel Review. Il gruppo di ricerca interateneo “Changing the nature of work” (CnowLab) è un laboratorio congiunto che unisce Università di Trento, Università di Genova, Università Cattolica Sacro Cuore di Milano, Università Liuc di Castellanza e Università di Chieti-Pescara.