Interni Edificio 10 a Rovereto ©UniTrento 

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La salute arriva anche dall’architettura

Mettere al centro il benessere delle persone e dell’ambiente è la nuova tendenza nell’edilizia. Dialogo con Rossano Albatici

1 luglio 2025
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Sara Carneri
Ufficio Eventi

Cosa muove uno psicologo sperimentale come Charles Spence verso i temi dell’abitare? Da dove viene l’interesse di ricercatori e professionisti di architettura tecnica per il benessere? A portarli nella stessa direzione è l'idea di "progettare e costruire per le persone e l'ambiente". Parliamo di salute. Quali sono, se ci sono, gli elementi che favoriscono la salute delle persone nel campo dell’abitare? Che siano edifici ad uso abitativo, quartieri residenziali, o edifici pubblici: un ospedale, una scuola, un museo. A volte accade che, finita l’intervista, si aprano nuove domande. Con Rossano Albatici, professore di Architettura e tecniche per l'edilizia sostenibile, direttore del Dipartimento di Ingegneria civile ambientale e meccanica, è andata così. L’abbiamo incontrato a margine del convegno Colloqui.AT.e - organizzato, quest’anno, dall’Università di Trento.

Questa attenzione alla salute, per chi si occupa di edilizia e costruzioni può sembrare un salto. Ma proviamo a immaginare quali fattori di salute possono apportare gli edifici. Ciascuno di noi non è mai tutto sano o tutto malato, siamo sempre un po' sani e un po' malati, da tanti punti di vista. La medicina, oltre a curare, dovrebbe promuovere fattori salutari nella vita delle persone. Nell'ambito dell'architettura e delle costruzioni, quali fattori di salute possiamo generare e sviluppare? L’Architettura tecnica, un settore disciplinare che si colloca a metà strada tra ingegneria e architettura, come le neuroscienze e la medicina si sta muovendo in questo ambito di ricerca e sperimentazione. «Ciascuno di noi impara a conoscere il mondo attraverso i sensi, fin dalla nascita. Non è quindi strano che modificando l’ambiente all’interno di un edificio, e introducendo delle variabilità sensoriali, sia possibile risvegliare l’essenza di chi lo abita», racconta Albatici. 
Fin dagli anni ’90 è noto il fattore thermal boredom, ossia la noia termica che percepiamo quando stiamo in un ambiente in cui la temperatura è costante, o ancora il fattore acoustic boredom (recentemente introdotto dal gruppo di ricerca di Albatici), cioè la noia acustica che si genera in assenza di suoni, in un ambiente senza variabilità e, in egual misura, l’effetto di un ambiente in cui la luce è sempre uguale. Come ti senti in un ambiente così? Quali elementi possono contribuire a farti stare meglio, lì dove passi la maggior parte della tua giornata? Una finestra aperta che introduce il suono della natura, alzare lo sguardo verso un punto di colore, vetrate che filtrano la luce. La ricerca si spinge oltre. Prova a entrare in una stanza che sa di vaniglia o, al contrario, dove avverti un sentore di fico. La percezione di caldo è la stessa? Una parete rossa genera lo stesso effetto del blu, a livello sensoriale? Non è ricerca fine a se stessa, ha a che fare con il benessere e l’economia. Se la temperatura è confortevole puoi aspettare prima di attivare l’aria condizionata. «Al Dicam – spiega il docente – è in corso il progetto Measure 2.0, finanziato nel piano strategico di Ateneo, che sta generando alcune collaborazioni con docenti del Centro interdipartimentale Mente/Cervello e del Dipartimento di Biologia cellulare, computazionale e integrata dell’Università di Trento. Il progetto ha l’ambizione di misurare i benefici di questo approccio per le persone».

Albatici parla di ritmo e variabilità. Hanno a che fare con i nostri sensi e con l’ambiente che abitiamo – un luogo, un edificio -, nel nostro tempo lavorativo, di cura, di studio. Il tempo libero lo passiamo fuori, dove c’è un paesaggio e la natura ci soccorre. Ma in un ambiente urbano? «L’edificio ha almeno due facce: fronte e retro. Ed è riconoscibile da entrambi i lati. Esattamente come ciascuno di noi presta cura al viso e alla nuca, così dovrebbe essere l’architettura e l’ambiente costruito». Il richiamo è alle virtù vitruviane dell'edificio: firmitas, utilitas, venustas. Solidità, funzionalità e bellezza. Riguarda gli edifici storici, dovrebbe riguardare il futuro.

Progettare e costruire per le persone e l'ambiente ha a che fare anche con la progettazione partecipata. Gli esempi non mancano. «Con l’Ater di Rovigo, che si occupa di edilizia pubblica, abbiamo introdotto dei cronotermostati intelligenti, particolari, che oltre a misurare temperatura interna, umidità, CO2, misurano la potenza dell’impianto restituendo agli abitanti un’indicazione economica del consumo, più comprensibile dei chilowattora. L’abbiamo fatto entrando nelle case per spiegare il progetto, come funzionano gli strumenti e qual è il vantaggio. In generale le persone hanno accettato questo cambiamento ma c’è stato anche chi un 31 dicembre, quando è saltata la corrente, ha staccato tutto per una paura legata ai sensori: “Cosa misurano in realtà? E allora la mia privacy?... Il punto non sono i sensori, è spiegare alle persone come funzionano». Lo stesso vale per l’introduzione dell’intelligenza artificiale che porterà degli sviluppi rispetto all’idea della casa responsiva che, in ultima istanza, anticipa i bisogni degli utenti in base all'uso che ne fa. «Pensiamo ai vantaggi nell’ambito dell’edilizia: nei cantieri, nella produzione tecnologica, nella produzione off-site, all’edilizia prefabbricata. Componenti in legno, acciaio che vengono realizzati in uno stabilimento e poi messi in opera. Su questo l’intelligenza artificiale può cambiare le modalità costruttive: dalla programmazione dei lavori alla gestione del cantiere, alla sicurezza. Ma siamo veramente nel campo della ricerca e senza il confronto tra tutte le figure professionali che intervengono nel filone dell’edilizia non si va lontano. Quindi l’architetto, l’ingegnere, il geometra, l’operaio. Ciascuno con la propria competenza e l’esperienza maturata nella pratica», riflette il direttore.

D’altra parte solo qualche anno fa non avremmo immaginato che si potesse pensare alle facciate degli edifici come elementi circolari e rigenerativi, per affrontare le principali sfide delle città future: temperature sempre più elevate, maggiore consumo energetico, scarsità di acqua, scarsa qualità dell’aria, limitate risorse naturali e insicurezza alimentare. «Ripensare gli edifici come elementi rigenerativi piuttosto che come semplici consumatori è essenziale per avanzare verso ambienti costruiti resilienti, più equi e con un impatto positivo», conclude Rossano Albatici.