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Custodire la cultura, raccontare il presente

Dalla Orwell Foundation, un esempio di come le istituzioni culturali possano dare nuova vita alla memoria degli autori

20 ottobre 2025
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di Swami Agosta
Studentessa collaboratrice Ufficio stampa e Relazioni esterne

Avete mai letto La fattoria degli animali? Madame Bovary? Delitto e Castigo? Questi testi non solo hanno segnato la storia della letteratura mondiale, ma sono diventati un vero e proprio must all’interno dei programmi scolastici. Il rischio, però, è che vengano percepiti come una semplice lettura da affrontare per dovere, per poi accantonarli. Eppure, molti di questi classici furono così innovativi da anticipare i temi e le contraddizioni del presente. Come ridare loro voce oggi? È la missione delle fondazioni culturali, che lavorano per mantenere vivo e attuale un patrimonio che rischia di spegnersi.

«What I have most wanted to do… is to make political writing into an art». La frase, tratta dagli Essays di George Orwell, accoglie i visitatori del sito della Orwell Foundation. Una citazione che racconta la visione di un autore che ha trasformato la scrittura in uno strumento di verità, e di un’istituzione che oggi prova a mantenerne vivo lo spirito. Anche la grafica riflette questa missione, con un’impostazione semplice, immagini in bianco e nero e testi diretti. È un modo per restare fedeli all’idea di Orwell che la scrittura, per essere libera, debba prima di tutto essere chiara.

Istituita nel 1994, la Fondazione ha un compito molto importante: assegnare ogni anno il The Orwell Prize, uno dei più importanti riconoscimenti britannici in materia di scrittura politica. Il premio, conferito il 25 giugno, giorno di nascita dell’autore, valorizza opere che incarnano il principio alla base del suo lavoro: unire impegno civile e chiarezza di pensiero. Negli anni, le categorie si sono ampliate fino a includere il giornalismo, la saggistica e, più di recente, un premio specifico dedicato al miglior reportage sulle condizioni dei senzatetto. «Spesso i nostri premi servono a sostenere scrittori che operano sotto forti pressioni economiche, editoriali o politiche – spiega Jeremy Wikeley (nella foto), communications manager della fondazione – e il nostro compito è aiutarli a continuare il loro lavoro, sia tramite il fondo del premio, sia offrendo loro il riconoscimento e l’autorevolezza della nostra istituzione».

Tutto questo è reso possibile anche grazie al legame diretto con gli eredi dello scrittore. Il figlio di Orwell, Richard Blair, è tra i Founding Patrons e sostiene attivamente le attività dell’istituzione, assicurando un filo diretto con la memoria familiare. In collaborazione con l’Orwell Estate e con l’Orwell Archive dell’University College London, la Fondazione contribuisce a rendere accessibili manoscritti, lettere e documenti d’archivio. Il sito ufficiale invece pubblica testi originali e materiali storici, costruendo una biblioteca digitale aperta a tutti.

Un altro aspetto centrale del lavoro dell’organizzazione è il rapporto con i giovani. Come racconta Wikeley, ogni anno il team collabora con scuole e insegnanti in tutto il Regno Unito per avvicinare gli studenti alla scrittura. «I testi di Orwell sono nei programmi scolastici, quindi i ragazzi lo conoscono già - spiega - ma il nostro obiettivo è far capire che dietro quelle pagine c’è un autore che osservava e metteva in discussione il proprio tempo. Li incoraggiamo a fare lo stesso: a raccontare ciò che vedono e pensano, senza paura di sbagliare».

Da questo approccio è nato l’Orwell Youth Prize, un progetto che coinvolge studenti tra gli 11 e i 18 anni. I partecipanti sono invitati a scrivere su un tema comune, scegliendo liberamente la forma: racconti, articoli, saggi, poesie e perfino sceneggiature. A differenza di molti concorsi letterari, però, ogni testo viene letto e commentato da una commissione che offre a ciascun autore un riscontro personale, per aiutarlo a coltivare la propria passione. «Il nostro obiettivo è rendere la scrittura accessibile a tutti andando direttamente nelle scuole e dando a ogni studente la possibilità di lavorare con scrittori e professionisti del settore.». Ai vincitori vengono assegnati premi in denaro e libri ma il cuore del progetto resta la possibilità, per ogni ragazzo, di essere ascoltato.

Mantenere viva l’eredità di Orwell significa però anche vigilare sul modo in cui le sue opere vengono citate e interpretate. Negli Stati Uniti, per esempio, 1984 è tornato spesso al centro del dibattito politico, richiamato da schieramenti opposti per parlare di manipolazione delle notizie o di controllo dell’informazione. «Il nostro compito – spiega Wikeley – è riportare l’attenzione su ciò che Orwell ha davvero scritto, fornendo strumenti chiari e accessibili per leggerlo nel suo contesto e metterlo al riparo dalle semplificazioni del dibattito pubblico»,

Portare avanti questa missione richiede anche un impegno costante sul piano organizzativo: «Il nostro è un lavoro che vive di collaborazione, di fiducia e di fondi che vanno continuamente cercati. Ma proprio questa precarietà ci obbliga a rinnovarci, a trovare forme sempre nuove per mantenere vivo il dialogo con il pubblico e con l’eredità di Orwell».

Attraverso il suo lavoro quindi, la Orwell Foundation mostra che custodire la memoria non basta. Un’istituzione culturale non deve limitarsi a onorare il passato, ma metterlo a disposizione di tutti, trovando nuovi modi per farlo dialogare con il presente. È in questo intreccio che la storia diventa confronto, la lettura occasione di scambio e la parola uno spazio di pensiero. È in questo modo che le fondazioni culturali contemporanee riescono davvero a mantenere viva la cultura, facendo del sapere del passato una risorsa per il presente e per il futuro.