Gente che vota per le elezioni americane ©Adobe Stock

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Altro che social. Il voto si decide offline

Le interazioni nello spazio reale descrivono le nostre idee politiche meglio di quelle online. Lo dice uno studio UniTrento

28 ottobre 2025
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Paola Siano
Ufficio Stampa e Relazioni esterne

Non sono i social media, ma le relazioni quotidiane a predire meglio come votiamo. È questa la conclusione di uno studio condotto dall’Università di Trento e appena pubblicato sulla rivista scientifica Pnas Nexus. Il primo autore è Marco Tonin, dottorando in Sociologia all’Università di Trento, finanziato con fondi Pnrr. I due supervisori del progetto sono Michele Tizzoni, professore di Sistemi di elaborazione delle informazioni al Dipartimento di Sociologia e Ricerca sociale e Bruno Lepri, del Mobile and Social Computing Lab (MobS Lab) della Fondazione Bruno Kessler.

L’indagine, condotta su dati provenienti dagli Stati Uniti, mette in discussione un luogo comune diffuso: che le piattaforme online, con le loro bolle informative, siano il principale mezzo attraverso cui si formano le nostre decisioni di voto. «Siamo partiti dagli Stati Uniti perché offrono un accesso ai dati molto ampio e una situazione politica estremamente interessante», spiega Tonin (nella foto a destra). «Abbiamo combinato diverse fonti: dai social media come Facebook ai dati di co-location, cioè quanto le persone si incontrano nella vita di tutti i giorni, fino ai sondaggi dell’American National Election Studies». Il periodo analizzato copre tre elezioni presidenziali, quelle del 2012, del 2016 e del 2020, questo per ottenere una misura stabile di quello che in scienza politica viene definito “voto normale”.

L’obiettivo era misurare la segregazione politica, ovvero quanto siano omogenei i contatti di ciascuno. «In parole povere», chiarisce Tonin, «la segregazione è l’omogeneità dei tuoi contatti dal punto di vista delle intenzioni di voto: se voti repubblicano o democratico e tutte le persone che frequenti condividono la stessa scelta, ti trovi in un ambiente altamente segregato». Gli autori hanno distinto tre livelli: la segregazione offline (nelle interazioni quotidiane), quella online (nelle amicizie Facebook) e quella residenziale (in base al quartiere di residenza). L’analisi si è basata su quattro grandi dataset: due prodotti da Meta, di cui uno sulle interazioni fisiche e uno sulle amicizie online; un terzo sulla prossimità residenziale, elaborato da ricercatori e ricercatrici di Harvard; un quarto costituito da dati di survey elettorali. Mettere insieme queste fonti è stata una sfida: «Lo sforzo maggiore è stato allineare dataset molto diversi tra loro, che non erano mai stati confrontati prima», aggiunge Tizzoni.

Il risultato? Le relazioni offline predicono meglio il voto rispetto alle connessioni online. La vicinanza fisica dei sostenitori politici ha un peso maggiore rispetto ai legami in rete nel prevedere i risultati delle elezioni negli Stati Uniti. «Non parliamo di un rapporto di causa-effetto», precisa Tonin. «Ma c’è una correlazione chiara: i contatti che abbiamo nella vita di tutti i giorni, con colleghi, amici o familiari, spiegano meglio come si vota rispetto alle amicizie sui social». Il dato suggerisce che, nonostante il ruolo dominante dei social network nel dibattito pubblico, le interazioni in presenza, faccia a faccia, contano ancora di più.

«Negli ultimi anni si è parlato tantissimo dell’impatto dei social sulle elezioni e sulla diffusione delle fake news», osserva Tizzoni (nella foto a sinistra). «Ma spesso si dimentica che le persone costruiscono la propria opinione anche, e forse soprattutto, attraverso le relazioni quotidiane». Il livello di segregazione, spiegano i ricercatori, è influenzato da fattori come il luogo di residenza e il livello di istruzione. «Nelle aree rurali, caratterizzate da un basso livello di istruzione, si ha una forte segregazione tra i repubblicani», nota Tonin. «Nelle aree metropolitane, invece, è molto elevata la segregazione tra i democratici».

Lo studio apre nuove strade per la ricerca: «Il prossimo passo», anticipa Tizzoni, «è analizzare l’esposizione fisica tra persone di orientamento politico diverso, utilizzando dati di mobilità ad altissima risoluzione per capire dove – nelle grandi città come New York o Boston – repubblicani e democratici si incontrano davvero». In un’epoca in cui si tende ad attribuire ai social media un potere quasi assoluto sulle scelte politiche, questo studio ricorda che la politica resta, prima di tutto, una questione umana e relazionale. Come conclude Tizzoni: «I social contano, ma le opinioni si formano ancora intorno a un tavolo, in ufficio o al bar. È lì che si decide, più di quanto immaginiamo, come votiamo». 

Lo studio dal titolo “Physical partisan proximity outweighs online ties in predicting US voting outcomes” è stato pubblicato sulla rivista scientifica Pnas Nexus. È disponibile qui: https://doi.org/10.1093/pnasnexus/pgaf308