Qualche settimana fa la Camera ha licenziato un nuovo testo che modifica due articoli del codice penale sulla legittima difesa, in particolare riguardo alla circostanza dell'aggressione notturna. Si tratta di un'aggiunta alle norme già esistenti che definiscono meglio proprio gli episodi di legittima difesa, dando ulteriori garanzie a chi si difende se costretto a usare le armi in alcune ore della giornata. Abbiamo intervistato a questo proposito Andrea Di Nicola, criminologo e docente presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Trento, nonché coordinatore scientifico di eCrime.
Professore, serve una nuova legge sulla legittima difesa?
A mio parere non serve. O perlomeno non serve questa legge. Iniziamo dai dati che possono oggettivare il ragionamento, aiutandoci ad essere stabili e partire dai fatti. L’Italia è tra i Paesi con minor numero di omicidi in Europa e nel mondo. I reati “predatori” come furti e rapine, pur in aumento tendenziale negli ultimi quindici anni, sono in calo negli ultimi tre: si è verificata infatti un’inversione di tendenza, con una riduzione della criminalità. Questi dati stridono, tuttavia, con la percezione dei cittadini, che continuano a percepire un elevato rischio di criminalità nella zona in cui vivono.
Senza negare il problema, e cioè riconoscendo la giusta pretesa di ciascuno di noi di sentirsi sicuro dentro la propria abitazione, se questa proposta di legge venisse approvata anche in Senato potrebbero esserci risvolti molto negativi, con il risultato di aumentare il rischio di armare, da una parte, cittadini inesperti e dall’altra ladri spesso più preparati nell’utilizzo delle armi e di dare il via ad una escalation di violenza.
Ci sono stati in passato casi di sentenze per eccesso colposo di legittima difesa, con condanne penali per il cittadino o negoziante, e risarcimento alle famiglie del ladro. Lei che ne pensa?
Ci sono stati singoli casi di cittadini che sono stati condannati per aver reagito in modo sproporzionato a un atto di criminalità in casa propria. Ci sono stati casi in cui i cittadini che hanno reagito hanno dovuto subire un procedimento penale, magari lungo, per vedere dichiarata la propria innocenza. Verso queste persone ovviamente si è portati a essere solidali, considerato che parliamo quasi sempre di situazioni critiche. Ma sono casi rarissimi, anche se fanno notizia. Ma quando si devono prendere decisioni che riguardano tutti i cittadini, queste devono essere il più razionali, obiettive e ponderate possibili e non guidate dalla pancia o da sporadici casi limite. I dati ci potrebbero aiutare in questa direzione: ci dicono ad esempio che la maggior parte dei furti in casa (60-70%) avviene durante il giorno, tra le 15.00 e le 18.00. Un dato che ci suggerisce che in gioco ci sono dinamiche sociali e familiari (oggi le case sono sempre più vuote, perché le famiglie sono disgregate e noi dedichiamo sempre più tempo al nostro lavoro) sulle quali si potrebbe lavorare per attuare una politica di prevenzione della criminalità. Guardiamo i dati Istat: gli omicidi in Italia sono calati dell’1.3% tra il 2014 e 2015, periodo nel quale le rapine denunciate sono passate da 39mila a 35mila circa. Nel confronto europeo il nostro Paese si posiziona al 23mo posto, sotto la media quindi, con 0.78 omicidi volontari commessi per 100mila abitanti. La sensazione è che le politiche criminali, in Italia, vengano fatte seguendo l’emotività dei cittadini, e sono piegate alla sensazione di insicurezza che viene cavalcata per interessi elettorali.
Quali soluzioni alternative sarebbero possibili e attuabili, secondo lei?
La diffusione dei furti in appartamento è determinata in larga parte dalla disgregazione familiare. Se la famiglia non esiste più, i nuclei tendono a farsi sempre più piccoli, cioè le persone vivono da sole. Quando queste se ne vanno, gli appartamenti vengono depredati. Può sembrare strano ma una seria politica sulla famiglia fa prevenire i reati “predatori”. Inoltre, quello che stiamo osservando rispetto ai furto in casa è che il bottino si sta sempre più riducendo e che avvengono nelle pertinenze domestiche (il garage, ad esempio). È una criminalità che tradisce disperazione, i ladri sono sempre meno organizzati e preparati. Ma le politiche sociali non vengono percepite come una soluzione.
La criminalità, dunque, si può prevedere?
La criminalità si può prevedere in diversi modi. Ad esempio, con il mio gruppo di ricerca eCrime, con l’aiuto del collega Giuseppe Espa, professore di statistica economica, abbiamo elaborato degli strumenti attraverso i quali è possibile prevedere la futura concentrazione di reati (furti e rapine). Il progetto, coordinato da eCrime e realizzato in collaborazione con Fondazione Bruno Kessler, Questura e Comune di Trento, ha prodotto un software che utilizza una serie di sofisticati algoritmi e ci permette di prevedere statisticamente dove, come e quando si verificherà un reato. Questi dati, se usati, fornirebbero indubbiamente un’opportunità in più alla polizia per la lotta alla criminalità. Anche una ragionata pianificazione urbanistica potrebbe aiutare in questo senso: i quartieri dormitorio o le periferie spopolate, sono una grande fonte di furti in appartamento.
È necessario che i legislatori non pensino solo a soluzioni veloci per rispondere al rischio percepito dei cittadini: lavorare su questi temi significa operare su un medio-lungo periodo, tenendo conto anche dei risultati e dei dati degli studi di ricerca.