Nei giorni scorsi, su tutti i mezzi di informazione, ha avuto grande risalto la notizia della scoperta denominata dell’Homo naledi avvenuta in un sito archeologico patrimonio dell’Unesco, a 50 km da Johannesburg, in Sud Africa. A compierla un team internazionale coordinato da Lee Berger, paleoantropologo e ricercatore della Wits University di Johannesburg, che ha dichiarato alla stampa: «Signore e signori, vi presento l’Homo naledi. Una nuova specie umana, un nostro lontano cugino. Una scoperta senza precedenti, che lascerà un segno nello studio della paleontologia». Per comprendere meglio questa scoperta e le sue implicazioni abbiamo sentito Stefano Grimaldi, professore aggregato in Antropologia presso il Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università di Trento. Il professor Grimaldi collabora a un progetto di ricerca internazionale sul passaggio dall’uomo di Neandertal all’Homo sapiens, i cui risultati sono stati recentemente pubblicati dalla rivista “Nature”.
Professor Grimaldi, ha letto della scoperta dell’Homo naledi, può spiegarci meglio di cosa si tratta?
Si tratta della scoperta di resti umani appartenenti ad almeno 15 individui rinvenuti in una grotta sudafricana e databili tra i due e i tre milioni di anni fa. Due sono i motivi per lo straordinario interesse scientifico causato da questa scoperta: il primo è l’attribuzione cronologica dei resti umani che include il periodo storico durante il quale drastici cambiamenti climatici favorirono l’origine del genere Homo; il secondo è dato dall’elevato numero complessivo di individui rinvenuti, fatto estremamente raro nella paleoantropologia.
A suo parere, sotto il profilo scientifico è davvero una scoperta senza precedenti ? Una parte della comunità scientifica ha forti perplessità.
I dati oggi in nostro possesso ci permettono di dire che il genere Homo si è originato tra i due e i tre milioni di anni fa in Africa orientale e/o meridionale. In questo periodo diverse forme di ominidi, alcune con caratteri anatomici più simili ai nostri e altre con caratteri ancora prevalentemente primitivi, coesistevano in questo ampio territorio. Homo naledi quindi si inserisce in questo mosaico umano già noto agli studiosi. Lo stesso autore della scoperta, Lee Berger, ha dichiarato che non possiamo ancora definire il ruolo evolutivo di Homo naledi e neanche che si tratti realmente di una nuova specie. Staremo a vedere nei prossimi mesi cosa ci diranno gli studi specialistici.
Questo ritrovamento è avvenuto in Sud Africa. Che tipo di ricerche si fanno invece in Europa?
La problematica in Europa è diversa. Qui, infatti, l’interesse prevalente è lo studio della transizione tra l’Uomo di Neandertal e Homo sapiens avvenuto intorno ai 40-45000 anni fa. Le modalità con cui tale passaggio è avvenuto non sono ancora chiare, probabilmente perché il fenomeno evolutivo è molto più complesso e sfaccettato di quanto possiamo ancora pensare.
Per quanto riguarda le sue ricerche, di cosa si sta occupando attualmente?
Dirigo le ricerche presso uno dei siti più noti in Europa, il Riparo Mochi (Ventimiglia), dove la transizione tra Neandertal e Homo sapiens è perfettamente conservata. Grazie alla collaborazione con la Soprintendenza Archeologica della Liguria, stiamo avendo risultati sorprendenti che recentemente la rivista “Nature” ha pubblicato insieme a quelli di siti archeologici simili di tutta Europa.