La Georgia è un paese del quale si sente parlare poco e di cui si conosce ancora meno. Ma chi si occupa di geopolitica e di studi internazionali sa che questo piccolo territorio caucasico affacciato sul Mar Nero può contare molto in termini di stabilità e sicurezza europea. Il conflitto in Ucraina ha dato la spinta ad un ripensamento da parte dell’Unione europea della propria strategia rispetto al vicinato orientale. Un nuovo atteggiamento supportato anche dalla candidatura per la membership europea presentata dalla Georgia insieme alla Moldova e all’Ucraina all’indomani dell’inizio dell’offensiva militare russa a Kiev. Mentre gli ultimi due paesi hanno ottenuto lo status di candidato già nel giugno dello scorso anno, per la Georgia il riconoscimento è arrivato soltanto a dicembre 2023, anche se il Consiglio europeo ha espresso preoccupazione per una serie di riforme politiche ed economiche che tardano ad essere attuate, soprattutto in materia di società civile, nel settore giudiziario e per il contrasto alla corruzione. Qual è la situazione attuale nel paese e che scenari si aprono, anche in relazione al conflitto russo-ucraino, lo spiega Alessandra Russo, docente di Scienze politiche alla Scuola di Studi internazionali e al Dipartimento di Sociologia e Ricerca sociale.
«Il sentimento di appartenenza all’Europa è sempre stato molto forte nella maggioranza della popolazione georgiana», spiega Russo. «In molti ricordano l’affermazione fatta negli anni Novanta dal presidente del Parlamento georgiano, Zurab Zhvania. In occasione della adesione della Georgia al Consiglio di Europa (1999), Zhvania aveva dichiarato di essere georgiano e quindi europeo. L’Europa (e non solo l’Unione Europea) è stata ed è considerata come una famiglia alla quale ricongiungersi: questo elemento emotivo e identitario, talvolta romantico, è saldamente ancorato alla società civile, soprattutto in chi vive nella capitale Tbilisi e tra i più giovani». Formalmente il percorso di europeizzazione in questo territorio, che fino al 1991 apparteneva all’Unione sovietica, non è mai stato messo in discussione, non solo a livello politico, ma anche grazie anche alla presenza di organizzazioni non governative e all’impegno di molte associazioni. Ma negli ultimi anni la maggioranza di governo ha mostrato talvolta un atteggiamento ambivalente, soprattutto quando ha dato priorità alla normalizzazione dei rapporti con la Russia. Il paese ha vissuto decenni caratterizzati da instabilità al governo, guerra civile, movimenti di piazza, la Rivoluzione delle Rose che ha portato al potere Mikheil Saakashvili, la guerra russo-georgiana nel 2008. Fino ad arrivare alle elezioni del 2020 che hanno visto la conferma sulla scena politica interna del partito Sogno georgiano, fondato dall’imprenditore multimilionario Bidzina Ivanishvili. «Questo risultato ha aperto una crisi politica e riproposto lo spettro di un riavvicinamento a Mosca, percepito dall’opposizione come qualcosa di pericoloso e inconciliabile con il percorso di europeizzazione in corso». In quel frangente la crisi ha trovato una temporanea ricomposizione anche grazie alla mediazione dell’Unione europea, ma la polarizzazione caratterizza ancora il panorama politico georgiano. Tuttavia, dal 2022 il percorso georgiano per entrare in Europa ha avuto una accelerata. Anche se non mancano le contraddizioni. «In questi ultimi anni – dice la docente – i settori più conservatori e tradizionalisti del paese, tra cui quelli più vicini alla Chiesa ortodossa, hanno contestato le richieste di Bruxelles rispetto all’adozione di una legislazione a favore delle minoranze, di politiche anti-discriminatorie in tema di identità sessuali e di genere e di contrasto alla violenza domestica. Molto resta da fare sul fronte della lotta alla corruzione e del sistema giudiziario. E soprattutto – aggiunge Russo – sul tema della libertà di espressione e di informazione. Il governo ha chiuso alcuni media locali indipendenti, si registrano intimidazioni, arresti e aggressioni nei confronti di reporter, persecuzioni di oppositori politici e violenti scontri, come quelli in occasione delle marce per i diritti delle persone Lgbtq+ a Tblisi».
Negli scorsi mesi inoltre, il partito di maggioranza ha proposto in sede parlamentare una bozza di legge – poi ritirata dopo forti proteste di piazza – per mettere sotto sorveglianza speciale quelle realtà che ricevono una quota del loro bilancio da fonti esterne: ong, associazioni, centri studi e di ricerca, enti che si occupano di advocacy. Infine, ma non da ultimo, anche rispetto al conflitto in Ucraina la Georgia dimostra un comportamento ambiguo. «Il primo ministro Irakli Garibashvili – spiega la professoressa – in qualche occasione pubblica ha quasi assecondato la narrazione putiniana della guerra, riferendosi all’allargamento ad est della Nato per esempio in occasione di un suo intervento ad un policy forum a Bratislava (GLOBSEC). Il supporto diplomatico a Kiev non è mai venuto meno, ma nei fatti l’atteggiamento è più sfumato. Basti pensare al disallineamento tra Georgia e Unione europea rispetto alle sanzioni imposte alla Russia; alla riapertura dello spazio aereo tra i due paesi (Georgia e Russia). Colleghi georgiani mi hanno confermato che nei negozi di Tbilisi si accettano pagamenti in rubli, e la presenza stessa di molti cittadini russi nel paese non sempre è ben accolto dalla popolazione locale». Questo è l’anno delle elezioni europee, che – secondo Russo – si intrecceranno con quelle georgiane in programma a ottobre. Pochi giorni fa Ivanishvili ha annunciato la propria discesa in campo in prima persona, dopo aver lasciato formalmente ogni incarico politico nel 2013. «La guerra ha costretto l’Unione europea a ripensare la politica di vicinato nel settore orientale anche in termini di sicurezza. Da ricercatrice – conclude Alessandra Russo – l’auspicio è che questo nuovo interessamento non sia una sorta di meteora nell’agenda politica dell’Unione europea. Se guardiamo al contesto italiano, l’interessamento istituzionale per la regione è visibile, testimoniato per esempio da un report per l’Osservatorio Politica Internazionale, e indirettamente per il Parlamento e il Ministero degli Esteri, a cui ho avuto il piacere di partecipare».