Il gruppo di studenti e studentesse che ha preso parte all'iniziativa

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Un calcio ai pregiudizi

Partita tra studenti e persone detenute per sensibilizzare sulla vita carceraria. L’idea di una volontaria di "Giuristi dentro"

10 luglio 2024
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di Paola Siano
Ufficio Stampa e Relazioni esterne

A volte una semplice partita di calcio può smuovere l’"aria ferma" che si respira in carcere. Il riferimento cinematografico al film di Leonardo Costanzo viene naturale, ascoltando la testimonianza di Benedetta Barbieri, studentessa di Giurisprudenza, prossima alla laurea, volontaria dello sportello “Giuristi dentro”. È l’ideatrice dell’incontro sportivo che si è svolto lo scorso 8 giugno nel campo che si trova all’interno della struttura penitenziaria di Spini di Gardolo. Un momento di svago che per un paio di ore ha regalato un po' di spensieratezza ai detenuti.

L’iniziativa del match calcistico nasce nell’ambito del percorso fatto allo sportello “Giuristi dentro”.  Si tratta di un’esperienza avviata nel 2018 e promossa dalle docenti Lucia Busatta e Marta Tomasi della Facoltà di Giurisprudenza e da Antonia Menghini, anche lei professoressa a Giurisprudenza e Garante dei diritti dei detenuti. Uno sportello di ascolto per offrire a chi vive in stato di detenzione nella Casa circondariale di Spini di Gardolo un servizio informativo e di mediazione. Otto tra ragazzi e ragazze che studiano legge a Trento - questo è il limite fissato dall’istituto penitenziario per le autorizzazioni – offrono assistenza legale in carcere, supporto per le pratiche, spiegano sentenze e atti e spesso li traducono per le persone straniere detenute.

Perché hai deciso di impegnarti in questo tipo di volontariato? Che esperienza è dal punto di vista umano?

«Quando dalla mia città che è Vicenza mi sono trasferita a Trento ho sentito il bisogno di vivere la comunità trentina. Ho fatto molto volontariato in diverse associazioni. Durante il Covid erano usciti diversi articoli sulle difficoltà nelle carceri legate al periodo della pandemia. Il mio interesse nasce da qui. È dal 2021 che entro in carcere. Una cosa che ho apprezzato nel mio percorso individuale è la capacità che ho, oggi, di distinguere la persona dal reato. Questo è anche l’elemento che mi porta di più a scontrarmi con l’esterno. È difficile far capire che non è disumanizzando le persone, anche se hanno commesso un errore, che fai capire loro il reato compiuto. Non possiamo togliere l’affettività, il rispetto, l’aria aperta. Sono cose umane, che ci educano se vogliamo crescere e imparare».

Di cosa hanno bisogno queste persone oltre all’assistenza legale?

«Di ascolto. Adesso a Trento le persone ospitate nel penitenziario sono oltre 350. Alcune volte vengono da noi senza sapere cosa facciamo. Compilano la domanda per il colloquio proprio perché hanno bisogno di parlare con qualcuno che li stia a sentire. Ora ci sono sei nuovi educatori all’interno della struttura, ma fino a poco tempo fa erano solo due. Un numero non sufficiente per una comunità così grande. Quello che manca è il contatto umano con l’esterno. Un’altra cosa che mi ha impressionata è la loro sincerità cruda. Una delle frasi che ricordo è stata pronunciata da un detenuto che mi ha detto "Io sarò stato anche un animale, però ho dei diritti". E ha ragione. Questo è quello che chiedono, diritti. La vita in carcere non è semplice. C’è molta diffidenza. Le persone sono molto consapevoli della situazione in cui si trovano».

La partita di calcio tra studenti e detenuti si inserisce in questo percorso che avete fatto con “Giuristi dentro” all’interno della casa circondariale di Spini di Gardolo. Come è nata l’idea e che momento è stato?

«È un’iniziativa che esiste già in Campania. Ho pensato che sarebbe stato bello farla anche da noi. Mi sono resa conto infatti, studiando a Giurisprudenza, che non tutti sanno che c’è il carcere appena fuori Trento. Mi piaceva il pensiero di unire due comunità così vicine tra loro ma che non si conoscono. L’organizzazione è stata lunga, complessa, non senza alcune difficoltà. Ma ce l’abbiamo fatta. Abbiamo coinvolto cinque studenti di diversi dipartimenti che hanno giocato contro dieci detenuti. L’obiettivo era di portare qualcuno che in carcere non ci fosse mai stato. Per parlare del tema della mancanza di libertà, fare sensibilizzazione con la comunità studentesca su questa realtà. La partita è stata persa dagli universitari per quattro a due. Abbiamo lasciato ai giocatori del carcere le magliette di UniTrento e il pallone da calcio. I loro sono un po’ malconci».

E tu per chi facevi il tifo?

«Per i detenuti, ovviamente! È stato commovente vedere tutti gli altri alle finestre delle celle per guardare la partita. Per loro è stato un momento diverso dagli altri. Di normalità. Vedere con quanta felicità hanno giocato è stato contagioso. Possiamo considerare questa esperienza una prima prova. Riuscita. Ma per le prossime volte sarebbe bello organizzare un momento di convivialità e conoscenza tra i partecipanti. Sono stata contenta del riscontro che abbiamo ricevuto. Un ispettore interno ci ha detto che sarebbe bello organizzare una partita una volta al mese. Per dare la possibilità a più persone di giocare».