Il campus dell'Università di Mzuzu, in Malawi

Storie

Insegnare crittografia nel cuore dell’Africa

Chiara Spadafora e Michele Battagliola hanno trascorso un periodo in Malawi per tenere un corso all’Università di Mzuzu

5 dicembre 2024
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di Francesca Stanca
Dipartimento di Matematica

La scorsa estate, Chiara Spadafora, dottoranda al Dipartimento di Matematica, e Michele Battagliola, già dottorando a UniTrento e ora assegnista all’Università Politecnica delle Marche, sono stati 40 giorni in Malawi per tenere un corso di crittografia avanzata rivolto agli studenti dalla Laurea Magistrale in Matematica dell’Università di Mzuzu. Il viaggio è stato proposto da Massimiliano Sala, docente di crittografia algebrica, e finanziato dalla Fondazione Ripple. Un’esperienza consigliata a chi frequenta il dottorato e vuole sperimentare nuove metodologie di insegnamento.

Dottoressa Spadafora, dottor Battagliola, quali attività avete svolto in Malawi?

«Si è trattato innanzitutto di un’attività di scambio di ricerca, infatti abbiamo svolto le lezioni di cui era titolare Augustine Musukwa, senior lecturer a Mzuzu e attuale assegnista postdoc presso il Dipartimento di Matematica di Trento. Abbiamo tenuto un corso completo, comprensivo di esame, di 34 ore, misto teorico e applicativo (di implementazione di protocolli crittografici e di programmazione), seguito da alcuni seminari molto partecipati destinati a tutta la Facoltà, riguardanti la nostra attività di ricerca in Italia e la tecnologia blockchain, con focus sulla Fondazione Ripple. Il tutto all’interno di un campus periferico costellato da mense, campi sportivi e zone ricreative, con vigilanza privata. Ci teniamo a ricordare che, nonostante le risorse limitate, la Mzuzu University ha coperto i costi della nostra permanenza in loco».

Com’è l’ambiente universitario di Mzuzu?

«Il personale docente è per la maggior parte originario del Malawi, con una storia simile a quella di Augustine Musukwa, ovvero con una laurea conseguita in loco e con un dottorato all’estero. Generalmente chi si laurea lì punta ad andare poi in Sudafrica, una meta ambita per proseguire gli studi, continuare a fare ricerca o trovare un lavoro specialmente in ambito di programmazione. Nel momento in cui si riesce però a svolgere il dottorato all’estero, una volta rientrati a Mzuzu, aumentano le possibilità di reclutamento all’interno dell’Università con qualifiche più alte. A livello governativo si sta cercando di ampliare le sovvenzioni a studenti e studentesse e di espandere l’università, con la creazione di biblioteche e dormitori, all’interno degli obiettivi “2040” per far crescere il paese. Si cerca di dare un impulso particolare allo sviluppo delle carriere in ambito di cybersecurity, che è un settore molto in vista. Nonostante non sia ovviamente allo stesso livello delle università europee, ci sono molti segnali di crescita e progresso. Inoltre, il desiderio di migliorare l’internazionalizzazione dell’offerta formativa passa anche attraverso inviti ad esperti internazionali, come nel nostro caso, o come nel caso di docenti e medici provenienti da Taiwan e Cina per formare il personale locale».

Che tipo di collaborazioni potrebbero essere avviate tra l’Università di Trento e la Mzuzu University?

«La nostra presenza è stata molto apprezzata, ci hanno spiegato che a loro piacerebbe attivare una sorta di partnership per attrarre talenti e visiting professors, per tenere corsi di livello più alto. Alcuni argomenti che abbiamo insegnato non avrebbero mai potuto impararli senza una docenza esterna. Il desiderio ricorrente è studiare all’estero, per ottenere una formazione migliore e poi importare le conoscenze nel paese, dato che avere un titolo straniero è un aspetto ricercato a livello accademico. Sarebbe auspicabile che le persone più meritevoli potessero iniziare un percorso di studi qui già a partire dalla laurea magistrale, anche tramite Erasmus o programmi simili, con un adeguato supporto economico».

Dal lato umano, ma soprattutto formativo, cosa avete portato a casa da questa esperienza?

«Sicuramente la ricchezza di un ambiente diverso anche dal punto di vista universitario: dover tenere corsi esclusivamente in inglese, senza possibilità di ricorrere all’italiano per aiutarsi nella spiegazione, di fronte a un tipo di interlocutore che non hai mai avuto, è stata una sfida quotidiana. Qui in Italia sappiamo cosa aspettarci, perché ci siamo passati anche noi e conosciamo come veicolare certe informazioni, abbiamo ben presenti gli interessi e le aspettative da entrambe le parti. Lì è molto diverso, il pubblico è comunque straniero, cosa che ci ha permesso di prendere le misure in modo diverso sul metodo di insegnamento che può funzionare, con differenze e similitudini.
Ai fini del nostro futuro accademico, è un’attività che ci ha insegnato a relazionarci con platee diverse e a non dare per scontati aspetti che qui in Italia lo sarebbero.
Anche a livello umano è stata un’esperienza importante. Scrivere un algoritmo o implementare un toy block cypher a Trento è scontato. In Malawi è un risultato che riempie di gioia e soddisfazione. A 24 ore di viaggio dall’Italia troviamo un mondo in cui la matematica può rappresentare il futuro di un paese».