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Storie

La gioventù che verrà

Iniziano gli anni della generazione Beta. Tra intelligenza artificiale, smart speaker e tecnologie digitali

13 gennaio 2025
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Paola Siano
Ufficio Stampa e Relazioni esterne

Li chiamano “nativi artificiali”, perché nasceranno in un tessuto già impregnato di tecnologia. Si troveranno a interagire con un mondo digitale in evoluzione senza soluzione di continuità. Dal 2025 fanno il loro ingresso nel mondo i bambini e le bambine della generazione Beta. A plasmare il loro futuro ci sarà l’intelligenza artificiale. Saranno proiettati in un domani che oggi non possiamo ancora sapere. Impossibile dire come saranno. Ma possiamo immaginarlo, sulla base delle ricerche scientifiche evoluzionistiche e quelle che hanno studiato l’impatto sociale delle nuove tecnologie. Ne parliamo con Alberto Acerbi, ricercatore al Dipartimento di Sociologia e Ricerca sociale, studioso, tra le altre cose, di Sociologia digitale. 

Addio generazione Alpha. Con il nuovo anno si affaccia la Beta che comprende chi nascerà tra il 2025 e il 2039. Uno schema, questo delle generazioni, adottato da tempo per semplificare la classificazione di un insieme di persone che attraversano fasi della vita nello stesso periodo, condividono attitudini, ideali e l’esperienza di determinati eventi storici. «Queste sono evidenti semplificazioni che vanno usate senza troppa serietà perché non sono categorie reali. Ma possono essere utili per descrivere alcune dinamiche che hanno in comune», così Alberto Acerbi quando iniziamo a ragionare sul profilo dei prossimi nati e sull’impatto che potrà avere su di loro un contesto così tecnologico, determinato da algoritmi, che si muove attraverso i social network e in qualche modo anche virtuale. «Fare delle previsioni su quali potrebbero essere gli effetti sociali di tecnologie come l'intelligenza artificiale tra vent'anni quando rappresentanti della generazione beta saranno adulti, è come giocare alla roulette» ammette. Questo perché tecnologie di questo tipo evolvono troppo rapidamente. «Il modo utile di farlo è guardare a quello che accade oggi e analizzare alcune dinamiche generali che possiamo utilizzare anche in altri casi». Una prima caratteristica che emerge, guardando al passato a partire dalla stampa di Gutenberg fino ad arrivare a Internet, è un certo timore verso le nuove tecnologie, soprattutto quelle informative che, nell’opinione generale, si teme possano determinare un overload cognitivo, fare propaganda e cambiare il nostro comportamento. «È importante stare attenti a valutare nel modo più possibile bilanciato gli effetti delle tecnologie», chiarisce lo studioso. «Molte persone, per esempio, pensano che l'intelligenza artificiale può essere usata per creare una disinformazione ancora più persuasiva. Ma se guardiamo alle ricerche in questo ambito, forse in maniera sorprendente per molti, vediamo che gli effetti sono più limitati e sfumati. La disinformazione online esiste, ma è una piccola parte dell'informazione totale». Nel caso dell'intelligenza artificiale per adesso non c’è un’idea chiara di quali saranno gli esiti. Anche perché le dinamiche collettive e culturali sono molto complesse. E non bisogna dimenticare che l’essere umano ha una grande capacità di adattamento alle trasformazioni. Anzi, di co-adattamento, come spiega ancora Acerbi. «Spesso si pensa che quando arriva una tecnologia questa cambierà il comportamento degli individui. In realtà quello che succede è che noi impariamo a utilizzare la tecnologia nel modo che più ci interessa. Magari cambiamo un po' ma mutano anche alcune caratteristiche di questa tecnologia, inventiamo altre tecnologie che ce la rendono più o meno utile. Credo che lo stesso accadrà con l'intelligenza artificiale. Verrà utilizzata in modi consoni ai nostri comportamenti che si modificheranno in un processo di co-adattamento». Seguendo il filo di queste riflessioni possiamo dire che non esiste un effetto unidirezionale delle tecnologie sugli individui e sulla società. Alcuni studiosi e studiose, forse con un po’ di azzardo e un eccessivo ottimismo, affermano che la nuova generazione, figlia della generazione Zeta (attenta a molte questioni sociali) si impegnerà nelle grandi cause mondiali. Sarà sensibile alla lotta ai cambiamenti climatici e ai valori dell’inclusività e dell’uguaglianza, perché crescerà con la consapevolezza delle sfide e delle opportunità legate alla rivoluzione tecnologica. Il punto è: avere fiducia. «Molte delle idee della società sulle innovazioni tecnologiche deriva dalla generazione precedente. Le narrazioni allarmistiche non aiutano i giovani.  Per esempio in Australia stanno tentando, per legge, di proibire l'utilizzo dei social media fino a 16 anni. Da ricercatore dico che questo è molto problematico perché si fa una differenza tra generazioni. Si dice: noi lo possiamo usare, a voi che magari avete molte più competenze diciamo di non usarlo. Dovremmo cercare di usare buon senso, senza metterci contro agli sviluppi e quindi, indirettamente, alle nuove generazioni». Per quanto riguarda le relazioni interpersonali si assiste a un utilizzo sempre maggiore degli smart speaker (cellulari, assistenti vocali, chat bot). Questo a lungo andare potrebbe portare a una spersonalizzazione dei rapporti umani? «Generalmente noi siamo molto bravi a distinguere tra interazioni con esseri umani e quelle con esseri non umani – risponde Alberto Acerbi che conclude – in realtà si potrebbe fare anche la predizione opposta. E cioè, proprio perché ci sono varie possibilità di interagire con dispositivi artificiali, potremmo dare più importanza ai legami sociali e renderli ancora più significativi».