La scarsa qualità dei contenuti che circolano in rete può avere potenzialmente degli effetti negativi sul nostro sistema cognitivo o intellettuale. A sottolineare questo pericolo è l’Oxford English Dictionary che ha scelto come espressione dell’anno appena trascorso “brain rot”. Si tratta di un neologismo che indica un presunto deterioramento dello stato mentale di una persona dovuto principalmente alla sovraesposizione ai social media. Traducibile in italiano come "marciume cerebrale", il termine denota il possibile impatto di una tendenza sempre più presente nella nostra quotidianità: quella di trascorrere ore e ore a scorrere i contenuti su app e social, in modo passivo e poco critico. Contenuti e messaggi online che sempre più stesso vengono generati da algoritmi di intelligenza artificiale per assecondare gusti e curiosità di noi utenti. Abbiamo chiesto una riflessione sull’argomento a Vincenzo D’Andrea, professore di Sistemi di elaborazione delle informazioni al Dipartimento di Ingegneria e Scienza dell’Informazione.
«Più tempo passiamo utilizzando una app con il nostro telefonino, più dati vengono raccolti su quello che facciamo, sui contenuti sui quali ci soffermiamo di più o di meno, su quelli che approfondiamo. Le app sono progettate per catturare la nostra attenzione. I contenuti che funzionano meglio sono quelli che ci stimolano, perché sono insoliti, strani, a volte sbagliati e palesemente falsi. Tutti questi meccanismi funzionano indipendentemente dall’intelligenza artificiale. Sono gli algoritmi con cui sono progettati i social network che favoriscono la produzione di questa “spazzatura” digitale. Oggi, in questo scenario può aggiungersi anche l’intelligenza artificiale che entra in gioco se viene utilizzata per creare questi contenuti. E questo è un problema perché aumenta il volume dell'immondizia di cui ci circondiamo»
A proposito di algoritmi, quelli dei social ripropongono i contenuti che si ritiene possano interessare l’utente sulla base della sua navigazione in internet. Questo in qualche modo limita la nostra libertà di scelta?
«La risposta è decisamente sì. Più che limitano, possiamo dire che pilotano. Si può scegliere, ma questa azione richiede uno sforzo maggiore per uscire da quella bolla informativa creata sulla base dei nostri interessi e in cui si rischia di restare. Gli algoritmi dei social network cercano di tenerci incuriositi e quindi continuano a riproporci cose spesso strane, singolari. Questo è anche uno dei motivi per cui le fake news prolificano nei sistemi di social network: più viene vista, più viene rinforzata e promossa».
Lo scrolling ripetuto che effetto può avere sulle facoltà mentali delle persone, in termini di memoria, di capacità di capire le informazioni?
«Di fatto il nostro modo di rapportarci con la conoscenza è già cambiato. Non so quanti numeri di telefono si ricorda lei, io solo quelli di due o tre case in cui non abito più. Oggi che senso ha memorizzarli? Lo stimolo per ricordare le cose è già perso. Se ho bisogno di ricordare il nome di un film, lo cerco sul motore di ricerca. L'unica cosa positiva che potrebbe accadere è che ci dovremo concentrare di più per capire e riflettere sulle cose. Il resto sta diventando ormai una competenza tecnologica».
Quali possono essere gli strumenti necessari per essere in grado di scegliere? Quale può essere il contributo dell'Università?
«Individualmente si può sempre smettere di usare questi strumenti. Quello che si potrebbe fare invece dal punto di vista collettivo è tutto un altro discorso. Oggi continuiamo a lasciare che tutte queste tecnologie si sviluppino e vadano nelle direzioni decise dalle aziende che le producono, in un quadro che è al di fuori da qualunque ambito di decisione politica. Noi siamo sempre più dipendenti da motori di ricerca, social network, intelligenza artificiale. Come università dobbiamo lavorare in maniera analitica su questo tema, come facciamo su tutti gli altri temi. La scienza in generale è la riflessione critica sulla realtà. Quello che possiamo fare rispetto agli studenti e alle studentesse che incontriamo nelle aule è fornire loro occasioni per esplorare e studiare la maniera in cui usiamo le tecnologie. Per renderli più consapevoli. Essere in grado di discutere e di elaborare i concetti».