Nelle sale della mostra Etruschi del Novecento, allestita al Mart di Rovereto fino al 16 marzo, è esposta un'opera molto curiosa appartenente all’Università di Trento. È una copia ottocentesca del cosiddetto “trono Corsini”, un sedile marmoreo del I secolo a.C. ispirato a modelli etruschi ancora più antichi. Un oggetto enigmatico, carico di storie inaspettate, che solleva molte domande: perché è entrato a far parte del patrimonio dell’Università? Qual è la sua storia? E, soprattutto, quale significato assume nel contesto della mostra? Scopriamolo insieme a Alessandra Tiddia, storica dell’arte e curatrice dell’esposizione insieme a Lucia Mannini, Anna Mazzanti e Giulio Paolucci.
Tutto ha inizio a Villa Gherta
La copia del trono etrusco attualmente esposta al Mart proviene da Villa Gherta, una raffinata residenza signorile risalente ai primi del Novecento, situata nei pressi del polo universitario di collina. Nel 2007, la villa è stata acquistata dalla società Patrimonio del Trentino e successivamente ceduta all’Università di Trento. Ecco svelato il primo mistero. «Villa Gherta è un esempio decorativo unico in Trentino, che combina l'eleganza del Liberty internazionale con le suggestioni dei palazzi nobiliari di inizio Novecento», spiega Alessandra Tiddia. «Proprio qui, durante un sopralluogo di qualche anno fa, mi sono imbattuta nella copia del trono Corsini. Questo manufatto ha subito catturato la mia attenzione, accendendo l’interesse per i temi che oggi sono al centro della mostra. Ma il trono rappresenta, per così dire, solo la punta dell’iceberg: la villa è un autentico scrigno d’arte, che meriterebbe uno studio più approfondito».
Villa Gherta fu costruita tra il 1902 e il 1904 su iniziativa dei fratelli Giuseppe e Carlo Garbari, figli di Luigi, un facoltoso produttore e commerciante di tessuti di Trento. Ancora oggi, in città, c’è un luogo che ricorda quest’importante famiglia: è la galleria che collega via Manci con piazza Cesare Battisti, realizzata nel 1924 nel luogo dove aveva sede la ditta dei Garbari. Il passaggio, decorato da pannelli che ripercorrono la storia dell’arte della tessitura, reca però il nome del solo Giuseppe (1863-1937), il più anziano dei due fratelli. Uomo colto, eclettico e cosmopolita, Giuseppe era un amante dei viaggi, della fotografia e della montagna, nonché un appassionato collezionista di mobili e oggetti di antiquariato. «Sebbene non vi siano certezze, è altamente probabile che la copia del trono Corsini sia stata acquistata da Giuseppe Garbari come complemento d’arredo», prosegue Tiddia. «È in questi anni, infatti, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, che si diffonde tra la borghesia imprenditoriale il gusto per le riproduzioni di opere antiche. La copia del trono Corsini esposta in mostra intende proprio evocare il fenomeno della riscoperta dei reperti antichi in generale, e in particolare, della seduzione esercitata dalla misteriosa civiltà etrusca».
Il trono Corsini: una storia di copie
La fascinazione di fine Ottocento per il mondo etrusco alimentò un fiorente commercio di copie e falsi. Presunte opere etrusche di grossolana fattura rimasero a lungo esposte presso musei prestigiosi come il British Museum di Londra e il Metropolitan Museum di New York e di questo la mostra dà conto. Diverso il caso del trono di Villa Gherta, che divenne oggetto di numerose repliche proprio perché unico nel panorama della produzione scultorea dell’antichità. «Quella appartenente all’Università di Trento è una copia prodotta in serie dalla Manifattura di Signa, un rinomato laboratorio toscano specializzato in terrecotte artistiche», spiega Tiddia. «Sappiamo che la Manifattura inizia a realizzare queste repliche nel 1898, anno in cui il trono etrusco compare nel catalogo dell’Esposizione Generale Italiana di Torino. Abbiamo rilevato sull’esemplare di Villa Gherta sia il numero di serie, che corrisponde a quello del catalogo, sia il marchio di fabbrica».
Una delle caratteristiche distintive della Manifattura di Signa era la ricerca della verosimiglianza con gli originali: le forme venivano calcate direttamente sugli esemplari antichi quando possibile, mentre le superfici erano trattate con patine che simulavano le sfumature del marmo, del bronzo e persino i segni del tempo. La copia esposta al Mart, in particolare, imita le tonalità e la resa cromatica del bronzo, creando l’illusione di un manufatto metallico piuttosto che in terracotta. Curiosamente, però, non è mai stato rinvenuto un originale etrusco in bronzo del trono Corsini. L’unico esemplare noto è una copia romana in marmo di età tardo-repubblicana, scoperta nel 1732 durante gli scavi per le fondamenta della cappella dedicata a Sant’Andrea Corsini nella basilica di San Giovanni in Laterano. Il sedile marmoreo, databile alla metà del I secolo a.C. ma ispirato a modelli etruschi della fine del V secolo a.C., è oggi conservato presso le Gallerie Nazionali d’Arte Antica di Roma. «Allo stato attuale delle ricerche – prosegue Tiddia – il trono di Villa Gherta sembra essere l’unica copia superstite tra quelle prodotte dalla Manifattura di Signa. È anche un oggetto fragile e prima di essere esposto nelle sale del museo è stato sottoposto a un accurato restauro».
D’Annunzio, l’'estruscomania' e il teatro
Il trono nasconde un’ultima curiosità. «Nella prime fasi di studio, mi sono accorta che un oggetto analogo al trono di Villa Gherta era stato inserito nella scenografia del dramma "La città morta" di Gabriele D’annunzio, rappresentato al Teatro Lirico di Milano nel 1901 con l’interpretazione di Eleonora Duse. Il trono è ben visibile nelle fotografie di scena e in alcune immagini la Duse posa accanto alla copia della sedia Corsini». Nell’allestimento milanese (la prima assoluta della tragedia andò in scena a Parigi nel 1898), D’Annunzio curò personalmente le soluzioni sceniche, inserendo copie di opere antiche e di reperti archeologici. In questo suo articolato progetto, D’Annunzio colloca al centro del palco la copia del trono Corsini. Spiega Tiddia: «L’oggetto di scena doveva avere, nelle intenzioni dell’autore, un ruolo di primo piano e donare alla scena un tono antico e nobile». Ma il trono di Villa Gherta potrebbe essere quello presente sulla scena del Teatro Lirico di Milano? «Non lo sappiamo, anche se l’eventualità non è del tutto da scartare» risponde Tiddia. «La moglie di Giuseppe Garbari, Ida Carugati Bardelli, era figlia del proprietario dei Cotonifici Riuniti di Milano, possibili fornitori per i costumi e gli arredi del teatro milanese. Non sappiamo quindi se Garbari entrò mai in contatto con D’Annunzio, che in mostra viene ricordato come colui che contribuì al ‘mito etrusco’ di inizio Novecento». Una moda che contagiò anche il trentino Giuseppe Garbari.