Hanno deciso di condividere quotidianità e abitudini con persone che hanno un bagaglio di storie diverse e lontane dalle loro. Da un lato l’impegno con lo studio, gli esami, il lavoro. Dall’altro il desiderio di sentirsi parte di una comunità che accoglie. UniTrentoMag racconta l’esperienza di Benedetta Rivi, studentessa alla magistrale in Global and Local Studies (Dsrs), Tommaso Sartore studente alla magistrale interdipartimentale in Data Science e Matteo Andreatta, educatore professionale che ha studiato a Rovereto. Stanno partecipando al progetto Combo promosso dal Centro Astalli che offre ogni anno a cinque giovani dai 18 ai 35 anni l'opportunità di abitare nella residenza dei Padri Comboniani a Trento, che è anche una struttura di accoglienza per persone richiedenti asilo e rifugiate.
La maggior parte di chi decide di vivere questa esperienza frequenta l’Università di Trento. Vuoi per la necessità di trovare un alloggio dove stare durante l’anno di lezioni, vuoi per la volontà di incrociare lungo il proprio percorso di vita volti e voci differenti. Come ci spiega subito Matteo: «Avevo il desiderio di vivere in un ambiente comunitario, perché penso che nella società così slegata in cui viviamo ci sia bisogno di risposte collettive alle domande che la società ci pone. Avevo quindi voglia di un'esperienza che mi facesse entrare in questa dinamica di costruzione di una visione il più possibile diversificata». Per Benedetta è il secondo anno in questa residenza. Le prime parole che le vengono in mente pensando a questa esperienza sono armonia e spontaneità. «Qui viviamo tutti in una relazione libera, spontanea. Se hai un momento in cui non ti va di parlare, gli altri lo rispettano. Ma spesso si creano delle situazioni in cui è facile lasciarsi coinvolgere. Quando ad esempio suoniamo la chitarra, cantiamo le canzoni insieme e si crea un contesto di festa. È bello essere qua perché si sentono la positività e l’armonia del luogo». Un caleidoscopio di suoni, lingue, usanze, cibi diversi. L’incontro passa di lì.
In questo momento nella casa abitano sei richiedenti asilo provenienti dal Pakistan e uno dal Marocco, oltre a due donne nigeriane con le loro figlie. C’è chi è arrivato in Italia seguendo la rotta balcanica, chi quella del Mediterraneo. Vissuti tutti diversi, fatti di esperienze dolorose, di perdite e di distacchi familiari. La difficoltà nel comprendersi per via della lingua non sempre aiuta, ma la voglia di parlare e comunicare è tanta, ci raccontano Matteo, Benedetta e Tommaso. E a volte basta anche solo un piatto di riso per sentirsi vicini. «C’è un uomo pakistano che vive con noi, che purtroppo ha perso i suoi genitori mentre era in Italia – racconta Tommaso – eppure è sempre lui a chiedermi come sto. È diventato un po’ il nostro papà. Quasi ogni domenica ci prepara i piatti che sa cucinare: il chapati, il riso, il pollo fritto. All’inizio non mi piacevano molto. Poi però il pensiero che una persona lo fa per te aggiunge un altro sapore».
In questa dimora così variegata, vivace, multiculturale e accogliente, l’unica “regola” è che la domenica sera si cena tutti insieme. A volte capita di festeggiare una bella notizia, come quando qualcuno riesce a ottenere il permesso di soggiorno dopo anni di attesa. Oppure di dare una mano nei compiti alle bambine che vivono nella casa. O di preparare la cena per chi arriva tardi. Una quotidianità fatta di piccoli gesti di vicinanza. «Mi piace molto quando si creano delle contaminazioni tra le nostre reti sociali – riflette Matteo – per me è stato molto bello entrare nelle loro. Sono come delle finestre che si aprono su ambienti che non avrei frequentato se non fosse stato per questo posto». «Si impara un nuovo modo di rapportarsi con persone che credi siano molto diverse da te per età, per provenienza, per religione – aggiunge Benedetta – e si capisce come in realtà si possono approfondire le relazioni con loro con uno sguardo diverso».
C’è poi tutta una parte di questa esperienza che riguarda la formazione che organizzano operatori e operatrici del Centro Astalli. Incontri, dibattiti, corsi che hanno come tema il fenomeno migratorio. «Ho capito che è veramente complicata la questione legale. Uno pensa che il richiedente asilo arriva in Italia e dopo poco ottiene i documenti. Invece è un percorso lungo, che dura anche anni. Se non c’è nessuno che le aiuta, queste persone vengono lasciate in balia del caso e del caos». In questo angolo di melting pot culturale sulla collina di Trento, trova spazio la possibilità di fare qualcosa di concreto per chi ha bisogno.
«In questo mondo che brucia – conclude Matteo – mi piace vivere qui. Il nostro esserci, anche con la presenza fisica, mi dà soddisfazione. Mi dà un senso di appartenenza e di cambiamento».
Il rapporto tra l’Università di Trento e il Centro Astalli, che si occupa di accoglienza e di accompagnamento delle persone richiedenti asilo e titolari di protezione presenti sul territorio trentino, si è consolidato nel tempo, grazie a una convezione sottoscritta due anni fa. Un accordo che prevede una collaborazione reciproca tra l’Ateneo e l’associazione in tema di consulenza legale sul diritto di asilo, supporto psicologico, orientamento al lavoro e supporto nella ricerca di un alloggio per richiedenti asilo, titolari di protezione o persone a rischio che studiano o lavorano all’Università. Il progetto Combo (c’è tempo fino all’8 giugno per potersi candidare) non rientra in questa convenzione, ma può essere considerato frutto del lavoro dell’Ateneo in termini di formazione e sensibilizzazione sulle tematiche migratorie. Impegno che si traduce nel favorire l’accesso delle persone rifugiate all’istruzione universitaria e alla ricerca e a promuoverne l’integrazione sociale e la partecipazione attiva alla vita accademica.