Tra le numerose e varie pellicole in gara abbiamo deciso di assegnare il Premio Studenti delle Università di Trento, Innsbruck e Bolzano a “Naya - Der Wald hat tausend Augen” di Mulder Sebastian per il suo modo di trattare temi estremamente attuali attraverso mezzi nuovi e originali, discostandosi dalla tradizione filmografica. L’opera riesce infatti a raccontare la storia della lupa Naya, monitorata grazie ad un collare GPS per motivi di ricerca, interamente attraverso telecamere di sorveglianza e foto-trappole, sparpagliate tra i boschi e le città di Belgio e Germania orientale. Nella giuria, per l’Università di Trento, eravamo Diana Busana, Federico Cavasin, Angela Vignaga.
Partecipare alla giuria studentesca di un Film Festival è stata per noi un’opportunità per avvicinarci un po’ di più al mondo del cinema, una passione comune e unificante, e ci ha dato l’occasione di sentirci parte nella costruzione e nella realizzazione della rassegna. Aiutarsi e coordinarsi tra giurati e con gli organizzatori del Festival ci ha consentito di crescere a livello culturale e sociale e di considerare in modo diverso quelle manifestazioni che possono sembrare distanti o inaccessibili ai più giovani, ma alle quali possiamo invece dare anche noi un forte contributo.
La giuria era molto eterogenea. Si componeva di studenti e studentesse di età e provenienze anche molto diverse e con differenti interessi in campo cinematografico. Tuttavia, la scelta finale è stata presa quasi all’unisono, a dimostrazione dell’efficacia della pellicola. Dopo la visione e la discussione in comune di tutti i film in gara è bastato infatti soltanto un breve confronto per decretare il vincitore ed enunciare le motivazioni. Maggiori difficoltà si sono presentate invece nella selezione di una menzione speciale facoltativa: non concordando su una scelta univoca per tutti è stato infatti deciso di non assegnarla.
La costruzione così particolare eppure coinvolgente del film e le considerazioni che sono sorte dopo la visione hanno permesso all’opera di spiccare tra le altre, nonostante queste mostrassero produzioni più elaborate o maggiori risorse a disposizione. Siamo stati infatti piacevolmente colpiti dalla narrazione condotta attraverso mezzi a dir poco originali e dall’intraprendenza del regista, capace di raccontare una storia comune in una maniera così anticonvenzionale.
Il film si apre con l’arrivo della lupa in Belgio: qui Naya, il primo esemplare della sua specie in quasi cent’anni, si presenta a una popolazione locale elettrizzata dalla notizia e in piena mobilitazione per cercare di avvistarla. Attraverso frammenti di conversazioni radiofoniche è facile cogliere il generale entusiasmo per il nuovo residente a quattro zampe, così come è altrettanto facile cogliere il drastico cambio di ottica non appena la lupa comincia a mietere le prime vittime tra il bestiame della zona. Improvvisamente la ricerca quasi ludica di una foto o un video da mostrare per vanto agli amici si trasforma in una caccia spietata nel tentativo di eliminare il nuovo problema.
Per mezzo di una visione “scientifica” e distaccata delle videocamere assistiamo a una narrazione spartana, priva di virtuosismi e rivolta alla praticità piuttosto che alla bellezza dell’immagine. Ma che proprio per questo riesce a esprimere in maniera straordinaria la selvaticità dell’animale e del suo ambiente naturale, così colonizzato dall’uomo e tuttavia ancora così incontrollabile e imprevedibile.
Nel percepire questa osservazione meticolosa e quasi morbosa delle città e delle foreste, che priva gli individui ma anche gli animali di qualsiasi tipo di privacy, sono sorte tra i membri della giuria numerose riflessioni sul rapporto tra l’antropizzazione e la vita selvatica, spesso tra loro in conflitto. La lupa Naya viene così involontariamente investita del ruolo di portavoce e rappresentante di tutti quegli animali costretti a migrare o uccisi a causa dell’intervento dell’uomo sull’ambiente. Questo tema ci è sembrato di grande attualità e sempre presente, in particolar modo a livello locale. Anche recentemente molte comunità hanno dovuto prendere in considerazione animali selvatici che rivendicavano i loro territori. Qui in Trentino si può pensare all’episodio dell’orso M49.