Tra i molti neologismi inglesi nati negli ultimi anni c’è una parola che, da sola, è in grado di farci capire quanto sia cambiata la sensibilità delle persone in materia di inclusione ed equilibrio di genere. Questo termine è "manel" e deriva dall’espressione inglese "all-men panels", ovvero convegni e manifestazioni dove vengono invitati a parlare solo uomini. È un’etichetta che serve a definire, anche a livello cognitivo, una situazione che prima passava inosservata, perché considerata ‘normale’. Manel non ha un corrispettivo in italiano, ma il fenomeno, con tutta evidenza, si manifesta anche da noi.
L’Università di Trento, che vanta una consolidata tradizione di impegno nella promozione delle pari opportunità, è stata tra le prime a dotarsi di specifiche linee guida contro i male panel e mercoledì 8 febbraio ha rilanciato questo impegno discutendo in Senato una nuova versione del documento. La decisione, presa a pochi giorni Giornata Internazionale delle Donne e Ragazze nella Scienza dell’11 febbraio, offre l’occasione di tornare sull’argomento insieme a Barbara Poggio, prorettrice alle politiche di equità e diversità del nostro Ateneo. Con lei parleremo delle novità introdotte nel testo delle linee guida, di campagne europee di sensibilizzazione (mai sentito parlare di "No Women, No Panel"?) e di donne e scienza. A proposito: mercoledì 16 febbraio il Dipartimento di Biologia Cellulare, Computazionale e Integrata e il Centro studi Interdisciplinari di genere dell’Università di Trento organizzano la tavola rotonda dal titolo "Il genere conta? Donne e scienza". Sarà un bell'all-women-panel.
Prof.ssa Poggio, come è maturata la decisione di aggiornare il testo delle Linee guida?
«Una prima versione delle “Linee guida per promuovere l’inclusione a partire dalla parità di genere negli eventi” è stata approvata nel giugno del 2020 e la sua adozione da parte dell’Ateneo ha suscitato interesse e vasta risonanza mediatica, non solo in ambito accademico. La società e il territorio, infatti, guardano all’Università di Trento come un punto di riferimento in questo ambito.
Oggi, a quasi tre anni di distanza, abbiamo deciso di aggiornare il testo e di rendere queste linee guida ancora più esplicite e stringenti, accogliendo sia le proposte emerse nel corso del tavolo di lavoro del Gender Equality Plan (o piano per la parità di genere), sia i suggerimenti provenienti dai delegati e dalle delegate per le politiche di Equità e Diversità. Sono state introdotte nel testo anche indicazioni di carattere pratico che derivano dalle esperienze di alcuni dipartimenti, in particolare quello di Economia e Management».
Quali sono le principali novità introdotte nel documento?
«Gli aggiornamenti non alterano la struttura del documento originale, ma suggeriscono alcune attenzioni da adottare quando si organizzano eventi e iniziative. Ne elenco alcuni, a titolo di esempio: prevedere una presenza del genere meno rappresentato - solitamente le donne - pari almeno al 30%; evitare di affidare a figure femminili solo ruoli accessori o di minor rilievo; utilizzare un linguaggio inclusivo e rispettoso delle differenze, declinando i ruoli in relazione al genere di chi li ricopre.
Più in generale, le linee guida incoraggiano l’adozione di comportamenti inclusivi e non vanno intese come ‘norme’ rigide o imposizioni. Sappiamo bene, ad esempio, che in alcuni ambiti disciplinari permangono rilevanti squilibri nella composizione di genere. In questi contesti l’adozione letterale delle linee guida rischierebbe di sovraccaricare di impegni le esponenti del genere meno rappresentato. Non è certo questo lo spirito del documento. L’obiettivo delle linee guida è quello di promuovere la realizzazione di eventi più inclusivi e attenti delle differenze».
Anche perché l’opinione pubblica è sempre più attenta alle situazioni in cui si manifestano condizioni di diseguaglianza fra donne e uomini.
«Sicuramente. Per questo è importante organizzare incontri che offrano la giusta visibilità a tutte le componenti della comunità universitaria. L’Università non può correre il rischio di rafforzare gli stereotipi di genere in contesti dove si costruisce la sua immagine pubblica, come convegni, seminari, commissioni, comitati scientifici. Bisogna andare oltre le asimmetrie tradizionali e abituarsi a riflettere, senza cadere in automatismi di pensiero».
Gli stessi obiettivi della campagna europea "No Women, No Panel", che la RAI ha deciso di fare propria, promuovendo un progetto che ha coinvolto istituzioni, comuni e università di tutta Italia. Ci saranno opportunità di collaborazione con questa iniziativa?
«Sì, è un possibile sviluppo, che potrebbe coinvolgere anche altre istituzioni del territorio, come ad esempio il Comune di Trento e la Provincia autonoma. Il progetto “No Women, No Panel - Senza donne non se ne parla” incoraggia una partecipazione bilanciata e plurale di donne e uomini negli eventi di comunicazione e prevede il monitoraggio delle buone pratiche e della composizione dei panel. Anche il nuovo testo delle Linee guida prende in considerazione la raccolta di dati sugli obiettivi di parità di genere e di inclusione; contempla inoltre la possibilità di aderire a progetti o iniziative di carattere nazionale o internazionale su questa tematica».
Quali sono gli ambiti in cui è più difficile promuovere una rappresentazione paritaria ed equilibrata dei generi?
«L’esperienza mostra il persistere di una forte disparità di genere nella composizione dei panelist in tutti quegli eventi pubblici che prevedono una partecipazione istituzionale: penso ad esempio agli eventi di apertura di grandi Festival, come quello dell’Economia o dello Sport, in cui partecipano i rappresentanti delle principali istituzioni. In questo caso, il problema è, per così dire, strutturale perché le donne sono di fatto una minoranza quando si vanno a guardare i ruoli apicali o decisionali all’interno di istituzioni e organizzazioni. Non è sempre facile ovviare a questa situazione, ma una soluzione potrebbe essere quella di inviare agli eventi delle delegate, riequilibrando così la parità di genere e lanciando un forte segnale, o ampliare la platea degli interventi. La presenza di donne nella rappresentazione pubblica e simbolica è importante, perché fornisce nuovi modelli di ruolo cui ispirarsi e in cui rispecchiarsi».
Sabato 11 febbraio si celebrerà la “Giornata Internazionale delle Donne e Ragazze nella Scienza”, istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel dicembre del 2015 e patrocinata dall’UNESCO. L’ambito scientifico è ancora uno dei più difficili per le donne?
«Sì, esistono ancora forti squilibri di genere in ambito accademico, dalla sotto rappresentazione delle donne in ambito STEM al fenomeno della segregazione verticale, che l’Università di Trento si è impegnata ad affrontare con una pluralità di strumenti (orientamento scolastico, mentoring, incentivi alle carriere femminili, misure volte a facilitare la conciliazione dei tempi di vita con i tempi di lavoro). Rispetto a decenni fa la situazione è migliorata, ma molto si può ancora fare per superare le asimmetrie di genere nei percorsi di studio e nelle carriere scientifiche. Il problema infatti non è tanto il primo accesso all’università, quanto la progressione di carriera: ancora oggi le posizioni apicali di docenza e di ricerca sono predominio dei maschi. E questo vale anche in ambiti come quello umanistico, dove la presenza femminile è molto elevata nel corpo studentesco, ma si riduce nel corso della carriera. Dare visibilità alle scienziate è quindi un modo per incoraggiare le ragazze a intraprendere gli studi scientifici e credere nelle proprie capacità».
Quella del Senato accademico, non è l'unica iniziativa realizzata da UniTrento in occasione della Giornata Internazionale delle Donne e Ragazze nella Scienza. Mercoledì 16 febbraio alle 18.30, il Teatro Sanbapolis di Trento ospita la tavola rotonda "Il genere conta? Donne e scienza", organizzata dal Dipartimento Cibio e dal Centro studi Interdisciplinari di genere.