Il Dipartimento di Fisica dell’Università di Trento ogni anno convoca un’assemblea nella quale, attraverso le voci delle sue componenti, presenta al territorio lo stato dell’arte, gli obiettivi e le prospettive di sviluppo. In occasione della nona edizione, UniTrentoMag ha fatto qualche incursione in un dipartimento complesso, articolato, ricco di sfaccettature, che lavora su una dozzina di tematiche diverse tra fisica teorica e sperimentale. Attività di ricerca che vengono svolte sempre più in gruppi interdisciplinari e in collaborazione con realtà locali, nazionali e internazionali. Lo speciale Fisica si apre con il direttore Franco Dalfovo.
Professor Dalfovo, da quanto tempo la fisica è presente all’Università di Trento?
«Sono cinquant’anni tondi: nel 1972-73 venne attivato il corso di laurea in Fisica con la nascita della Facoltà di Scienze matematiche, fisiche e naturali».
In quale stagione della vita vi sentite?
«Nel panorama nazionale siamo tra i dipartimenti più giovani. Ma se ci guardiamo bene, ci accorgiamo che i fondatori sono già tutti usciti. Negli ultimi dieci anni c’è stato un ricambio generazionale notevole, con un reclutamento di giovani docenti che ha fatto diminuire l’età media e ha portato con sé competenze fresche. In questo senso direi che il dipartimento è un giovane-adulto».
Come è composta la comunità del Dipartimento di Fisica?
«Siamo circa 200: quasi 60 docenti, più di 40 tra tecnici e amministrativi e un centinaio di dottorandi e assegnisti. Però, in realtà, qui a Povo Zero siamo una comunità di fisici molto più ampia. Infatti, ospitiamo il Tifpa (Institute for Fundamental Physics and Applications di Infn) e due istituti del Cnr, l’Istituto nazionale di Ottica, con il Center on Bose-Einstein Condensation, e l’Istituto di Fotonica e Nanotecnologie».
Qual è il vostro ruolo nel contesto nazionale e internazionale?
«La ricerca in fisica si fa in team, spesso di grandi dimensioni. Per questo serve una rete nazionale e internazionale. A livello locale lavoriamo in sinergia con Fbk, Fem, ed Ect*, ad esempio. A livello nazionale, oltre che con l’Infn e il Cnr, collaboriamo con l’Agenzia spaziale italiana, con l’Istituto nazionale di Astrofisica e altri enti di ricerca. Questo permette ai nostri laboratori di entrare come partner in progetti di grande portata, a volte anche con un ruolo di leader».
Oltre alla ricerca, c’è la didattica. Ci sono novità su questo fronte?
«Per formare buoni fisici occorre garantire agli studenti la possibilità di svolgere attività in laboratorio di qualità e in abbondanza, ma gli spazi dei laboratori didattici sono limitati e, per questo, abbiamo introdotto da qualche anno il numero programmato. L’abbiamo fissato a 90, ma le domande di partecipazione ai test di ammissione superano di due o tre volte i posti disponibili. Questo è un buon segno di attrattività, peraltro confermato dal fatto che circa l’80% degli iscritti viene da altre regioni. L’occupabilità dei laureati è un altro aspetto positivo. Il lavoro arriva in tempi brevi e anche in settori che prima erano prerogativa di altri profili. È il caso delle aziende che, ora più che in passato, accolgono fisici nei loro gruppi di ricerca e sviluppo».
Chi si laurea in fisica, insomma, ha il lavoro assicurato e una buona scelta?
«Sì, anzi, c’è una vera e propria carenza di laureati e laureate in fisica a livello nazionale e internazionale. Pensi che non sempre riusciamo ad assegnare le borse di dottorato che mettiamo a disposizione».
La fisica in Italia ha una bella tradizione di prestigio e qualità. Lo dimostra anche il Nobel per la Fisica 2021 attribuito a Giorgio Parisi per i suoi studi sui sistemi complessi. Ciò favorisce l’attrattività di risorse umane e di finanziamenti. Dall’altra, però, impone confronti sempre ad alto livello. Impresa non facile…
«È l’altra faccia della medaglia. In Italia il livello della fisica è molto alto. Anche noi qui a Trento facciamo un buon lavoro. Lo attestano i quattro progetti Erc attivi, i due ricercatori arrivati con il programma Rita Levi Montalcini e le tante collaborazioni nazionali e internazionali. Ma certo, poi ci si confronta con sedi prestigiose, che hanno molti più anni di storia e dimensioni superiori, e ciò a volte finisce per penalizzarci. È successo, ad esempio, con i bandi ministeriali dei dipartimenti di eccellenza, dove abbiamo mancato il successo per ben due volte, la seconda volta per un soffio. Ci ha fatto soffrire un po’».
È difficile far capire che la ricerca fondamentale è imprescindibile per qualsiasi progresso scientifico?
«Facciamo fatica a far capire ai finanziatori l’importanza della ricerca fondamentale. Quella applicata è più facile da comunicare. Tra scienziati, in realtà, questa distinzione è sempre più sfumata. Ormai la ricerca si svolge integrando tra loro settori diversi perché i metodi d’indagine più innovativi favoriscono l’interdisciplinarità e la trasversalità. Spesso anche nello stesso gruppo di lavoro c’è varietà di competenze e di profili. C’è interazione tra chi lavora sulle leggi fisiche della materia e delle particelle elementari e chi usa tecniche computazionali avanzate. C’è interazione tra chi sviluppa dispositivi ottici o elettronici e chi si occupa di chimica, di biologia o neuroscienza, e così via. Questa nuova tendenza della scienza si vede anche nel nostro dipartimento».
Quali sono i vostri progetti strategici?
«Nel piano triennale abbiamo messo in evidenza le ricerche con applicazioni nell’ambito della decarbonizzazione e la transizione ecologica, la fisica biomedica (con la protonterapia e la Scuola di specializzazione in fisica medica), le scienze e tecnologie quantistiche nell’ambito dell’iniziativa Q@TN e le ricerche finalizzate all’osservazione della terra e dell’universo. Ma l’elenco dei progetti sarebbe lungo».
Cosa significa guidare un dipartimento che svolge attività di ricerca in 14 laboratori che lavorano su una dozzina di tematiche diverse tra fisica teorica e fisica sperimentale?
«La scienza è un’impresa complessa e va organizzata in modo efficace per permettere alle idee di concretizzarsi in progetti e produrre risultati. I nostri laboratori gestiscono in modo autonomo l’acquisizione degli strumenti di ricerca, la pianificazione del lavoro e le reti di collaboratori. A volte le reti coinvolgono centinaia o migliaia di ricercatori e la gestione coordinata dei progetti richiede ruoli specifici. In tutto questo il dipartimento deve garantire le condizioni di lavoro e il contesto locale adatto. Non è sempre facile».
Ha un sogno per il Dipartimento di Fisica?
«Mi piacerebbe che il dipartimento avesse presto una nuova casa. La sede attuale è satura e ha problemi. La Direzione Patrimonio immobiliare ci sta aiutando molto, ma rimane difficile garantire gli standard necessari per accogliere nuovi esperimenti. Poi c’è il personale tecnico: si tratta di figure di grande competenza e professionalità che affiancano i nostri ricercatori. Non sempre le loro condizioni contrattuali e di lavoro sono ideali. è anche difficile attirare giovani in queste posizioni per garantire il turnover perché, purtroppo, non siamo abbastanza competitivi rispetto a contesti in cui le prospettive di carriera sono migliori. Il sogno è che si riesca a trovare una soluzione, prima che diventi un incubo».