L'interno della Buc ©UniTrento - Ph. Michela Favero

Vita universitaria

Serietà e piacevolezza

Storie di vita e foto di palazzi raccontano in un libro che stare all’Università di Trento è un bel modo di vivere la vita

14 dicembre 2023
Versione stampabile
di Elisabetta Brunelli
Ufficio Stampa e Relazioni esterne

Molte foto delle sue architetture, dei palazzi recuperati e delle costruzioni più recenti. E sedici storie di vita di personale docente, tecnico-amministrativo e di chi a UniTrento ha studiato. Sono 200 le pagine di "Un campus tra le Alpi. Vivere e studiare a Trento", libro edito dall’Università di Trento. Il volume, in uscita, è a cura di Vittorio Carrara, Michela Favero e Claudio Giunta. Si apre con la premessa a firma del rettore Flavio Deflorian e si chiude con una bibliografia essenziale. Attraverso immagini e testi si raccontano la Buc – Biblioteca universitaria centrale (Claudio Giunta) e i palazzi di Sociologia (Alberto Brodesco), di Economia (Sandro Trento), di Giurisprudenza (Fulvio Cortese), Prodi (Francesca Lorandini), Consolati (Simona Casarosa), Sardagna (Giovanni Agostini). Quindi: Molino Vittoria (Chiara Lombardo), Sanbàpolis e la residenza universitaria San Bartolameo (Paolo Fontana e Lucia Carta), PovoZero (Marco Andreatta), Polo Ferrari 1 (Francesco De Natale), Complesso di Mattarello e Polo Ferrari 2 (Alessandro Quattrone), Polo di Mesiano (Giovanna A. Massari), Bum – Biblioteca universitaria di Mesiano (Cristiana Volpi), i palazzi Piomarta e Fedrigotti (Remo Job) e Manifattura (Giorgio Vallortigara).

Professor Giunta, perché un libro sull’Università di Trento?

«In tutte le università si fanno dei libri celebrativi. Nel nostro caso, volevamo un libro che desse conto del fatto che la nostra è una università giovane e al tempo stesso di successo, e facesse vedere quanto ha investito nel recupero e nella costruzione di palazzi. Il volume descrive come la storia di successo dell’Università di Trento sia anche una storia di spazi progettati con intelligenza».

Nel titolo si parla di “un campus tra le Alpi”. In realtà, il modello di sviluppo seguito dall’Ateneo è quello di una presenza diffusa. Dove la comunità universitaria non è circoscritta, ma interagisce di continuo con il territorio. Qual è, dunque, la vostra accezione di campus?

«In senso lato, considerate le sue dimensioni, tutta la città può essere considerata un campus. Trento è una città piccola che ha avuto la buona idea di concentrare i suoi poli universitari tra valle, collina e Rovereto. Per questo permette di fare un'esperienza immersiva di università, lungo via Verdi come in via Sommarive».

L’Università è un’istituzione, ma anche un organismo vivente, un sistema complesso, radicato nel territorio e, al tempo stesso, aperto al mondo. Quali dei vari aspetti dell’Ateneo si è voluto privilegiare in questo libro?

«È un libro di storie di vita. Perché abbiamo chiesto a una quindicina di persone di raccontare la loro esperienza. Abbiamo coinvolto docenti, personale tecnico-amministrativo e persone che hanno studiato a UniTrento».

Nella premessa si dice che è un libro anche molto allegro: da cosa dipende?

«È un libro allegro perché le storie che vi vengono raccontate sono storie di persone contente di fare quello che fanno. Viene fuori l’idea di una vita spesa in maniera intelligente, piacevole, soddisfacente. Con il sorriso, in allegria. Pagina dopo pagina si scoprono vite adulte raccontate con gioia».

A chi volete rivolgervi?

«Il libro è innanzitutto una festa per chi, come noi, già studia e lavora all’Università di Trento. Poi vuole farla conoscere a chi non è ancora dentro: penso a chi verrà a studiare qui. Inoltre è un modo per spiegare che, se c’è intelligenza e serietà, le cose possano funzionare bene anche in Italia. L’Università di Trento è una delle rare storie di successo».

Se dovesse descrivere UniTrento con una frase?

«Prendendo a prestito un verso del mio poeta preferito, direi che è una casa seria su una terra seria (A serious house on serious earth it is). La poesia si chiama “Church Going” e l'autore è Philip Larkin».

Ora che il libro è stato pubblicato, credete di aver raggiunto l’obiettivo?

«Sì, siamo molto contenti. Le foto sono bellissime e le storie sono belle, ben scritte, interessanti».

Chi ha lavorato a questa operazione editoriale?

«I testi sono stati scritti, come dicevo, da una quindicina di colleghi e amici. La realizzazione del volume e il reperimento delle fotografie sono opera della Direzione Comunicazione e Relazioni esterne, e di Michela Favero in particolare. Imprescindibile è stato l’impegno della Direzione Patrimonio Immobiliare, che in tutti questi anni ha lavorato per la realizzazione e il recupero degli edifici che ospitano il nostro ateneo».