Università e corsi di laurea? Chi li accredita, li valuta e ne certifica la qualità in Italia è l'Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca, ente pubblico indipendente che opera in stretta collaborazione con il Ministero dell’università e della ricerca. Il suo presidente, Antonio Felice Uricchio, a Trento in occasione del Festival dell’Economia, racconta i dietro le quinte di una missione tanto importante quanto delicata per gli atenei: farsi valutare.
Professor Uricchio, l’accreditamento è un processo molto complesso, spesso difficile da cogliere dall’esterno. Eppure certifica la serietà della ricerca e dell’offerta formativa con sorta di “bollino di qualità”. È d’accordo? E come funziona questo processo?
«Sì, l’Anvur svolge un'attività valutativa attraverso il processo Ava, che sta a significare autovalutazione, valutazione periodica e accreditamento. È a tutti gli effetti una certificazione della didattica e della ricerca e della valorizzazione della conoscenza mentre la VQR riguarda la qualità della produzione scientifica. Entrambi questi processi sono protesi al miglioramento qualitativo delle istituzioni accademiche. Il processo Ava, giunto ormai alla terza edizione, parte dall'autovalutazione e poi si sviluppa e confluisce nella valutazione che l’Anvur conduce in parte sulla documentazione, in parte con la visita a distanza e poi in loco dell’ateneo, attraverso i propri esperti valutatori. Anvur restituisce una documentazione, che diviene poi pubblica, con indicazioni specifiche su elementi che potrebbero aumentare la qualità, se opportuno».
Un nodo riguarda l’accreditamento delle iniziative nell’ambito della formazione medica, settore in cui il fabbisogno e le risorse sono argomenti di discussione frequenti.
«Sì, Anvur si occupa anche della valutazione dei corsi di medicina e anche delle infrastrutture mediche messe a servizio dell'assistenza sanitaria. In questi ultimi anni Anvur ha accreditato nuovi corsi di studio di Medicina e ben 14 nuove sedi di strutture sanitarie, tra cui l’Università di Trento. La sua attività di valutazione, che è stata a sua volta accreditata per 10 anni dalla World Federation of Medical Education, consentirà alle laureate e ai laureati delle università italiane di poter operare come medici all’estero e negli Usa senza bisogno di sostenere ulteriori esami nelle località dove andranno ad operare. Ovviamente è un'opportunità che offriamo a chi si laurea nel nostro sistema universitario, ferma restando l’esigenza di potenziare l’offerta di medici nel nostro Paese».
Nell’aprire nuove linee di ricerca e nel valutare quelle esistenti, gli atenei si impegnano anche a garantire il rispetto dei principi e delle varie norme di carattere etico. Qual è il ruolo di Anvur nel presidio dell’integrità della ricerca?
«Anvur ha un proprio codice etico e promuove anche l'adozione di modelli conformi ai codici etici all'interno delle istituzioni accademiche. In occasione della valutazione, analizza i documenti che vengono offerti dalle istituzioni accademiche. In primo luogo, il Piano integrato di attività e organizzazione della pubblica amministrazione (Piao) che è previsto dalla normativa vigente come anche altri documenti presentati dalle stesse istituzioni che attestino la tutela dell'integrità e della ricerca».
Farsi valutare implica apertura verso il miglioramento e autocritica. Come è stato accolto questo processo dagli atenei italiani? È ancora vissuto come un obbligo?
«Penso che il processo valutativo sia stato diversamente apprezzato nel tempo. Inizialmente era percepito come un adempimento forzoso. C'era insofferenza nei confronti di una valutazione esterna, peraltro affidata ad un'agenzia appena istituita. È maturata però nel tempo una cultura della valutazione anche grazie al processo partecipativo che Anvur ha promosso nella costruzione dei modelli valutativi.
Oggi quindi c'è una maggiore accettazione. È cresciuta la consapevolezza dell'utilità della valutazione. Anche la compliance si è sviluppata: gli atenei hanno iniziato a sviluppare modelli autovalutativi, magari stimolati dalla valutazione esterna. Questa circolarità della valutazione è senz'altro una grande opportunità per il nostro sistema accademico».
Il processo di assicurazione della qualità si aggiunge in modo spesso crescente alle tradizionali attività di didattica, di ricerca e di gestione degli atenei. Come conciliare meglio queste attività con le scadenze e agli impegni della vita accademica?
«Anvur ha fortemente promosso un processo valutativo partecipato e snello, oltre che pienamente rispettoso dell'autonomia delle istituzioni accademiche. E soprattutto finalizzato a dare valore a tutto ciò che già l'ateneo mette in campo quotidianamente nelle proprie attività accademica, senza gravare di ulteriori adempimenti. Quindi una valutazione che non sia complessità e che sia all’insegna della trasparenza».
Nei giorni scorsi si è tenuto il Festival dell’Economia, evento che, tra l’altro, è uno dei sette casi di “terza missione” presentati dall’Università di Trento all’Anvur. Inserita come novità nella precedente valutazione, la terza missione è stata confermata anche per la prossima. Come hanno risposto gli atenei e quali sono le ragioni di questa riconferma?
«La terza missione è stata percepita in passato quasi come un'attività residuale. La stessa denominazione all’inizio evocava questa dimensione quasi esterna e minore. Oggi invece è senz’altro cresciuta. Anche nei documenti Anvur la definiamo come valorizzazione della conoscenza, come attività produttiva di impatto sociale.
Le istituzioni universitarie la apprezzano come un momento di restituzione ai territori e di affermazione di responsabilità sociale. La ritroviamo con sempre maggior spazio nei documenti strategici degli atenei, ma soprattutto nel modo di essere delle istituzioni universitarie che, aprendosi all'esterno, riescono a trasferire i risultati della propria attività di ricerca e di conoscenza».
Il sistema di monitoraggio della qualità è in continua evoluzione. Il perimetro si sta allargando e, come è successo per la terza missione, tende a includere sempre nuovi aspetti. Quali aree saranno in futuro oggetto di ampliamento?
«Sicuramente l'espansione della terza missione è una peculiarità del nostro paese, che ci viene riconosciuta anche come best practice a livello internazionale.
Per quanto riguarda invece il futuro, dobbiamo partire da una considerazione. Il processo valutativo si sviluppa secondo un modello condiviso a livello internazionale e per l’area europea dai principi Esg e che poi si dirama e comprende anche l’esperienza che viene dalle stesse istituzioni valutate. Quindi, è alimentato continuamente sia dal confronto con le istituzioni e agenzie europee, oltre che dalle istituzioni valutate interne.
A livello internazionale si discute molto, ad esempio, di estendere la valutazione alla formazione continua, ai master o alle microcredenziali. In alcuni paesi già si fa mentre in Italia sono ancora elementi esterni all'attività valutativa. Immagino che in futuro questa sarà un'ulteriore area su cui l'attività si svilupperà delle agenzie europee».
Come vede i tentativi di riforma del sistema di valutazione che spingono per dare maggiore peso al giudizio qualitativo?
«Anvur fa parte della coalizione CoARA, che promuove una riflessione sui processi valutativi, soprattutto con riferimento alla ricerca, al Research Assessment. Propone di far evolvere la valutazione della ricerca da parametri quantitativi a qualitativi, attraverso una peer-review informata sempre più sviluppata, che elimini progressivamente gli automatismi della valutazione quantitativa. È una transizione difficile, ma su questo Anvur già si è mossa, sottoscrivendo il documento e allineandosi ad alcuni principi di questo nuovo modello. Già nella Vqr attraverso i nostri Gev (Gruppi di esperti della valutazione) e referee abbiamo recepito questo modello qualitativo, evitando che le informazioni quantitative generino automatismi valutativi».