Giovani del presidio universitario di Trento “Celestino Fava”

Vita universitaria

Dalla parte giusta

UniTrento rinnova il protocollo con il presidio universitario di Libera. «La mafia si sconfigge insieme. Anche in Trentino»

4 luglio 2024
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Paola Siano
Ufficio Stampa e Relazioni esterne

È stato rinnovato, il 3 luglio scorso, il protocollo di intesa tra l'Università di Trento e l'associazione Libera. Prosegue la collaborazione, avviata nel 2018, che prevede l’impegno di entrambe le parti in una serie di progetti volti alla sensibilizzazione della comunità scientifica, accademica e studentesca verso l’impegno alla cittadinanza attiva. Accanto a quella del rettore Flavio Deflorian, il documento porta la firma di Don Ciotti, fondatore e presidente del movimento nazionale. UniTrentoMag intervista la referente del presidio universitario trentino di Libera, Sofia Carroccia, e una delle studentesse del gruppo, Maria Fontanesi.

Appassionate, convinte che la lotta alla mafia vincerà solo unendo le forze. Se le persone diventano consapevoli che la criminalità organizzata non è poi così distante. Al sud come al nord. In Italia come in altri paesi del mondo. Entrambe studentesse all’ultimo anno di Giurisprudenza, facoltà che hanno scelto in coerenza con il loro interesse per la legalità e il diritto. Maria e Sofia fanno parte del presidio universitario di Trento “Celestino Fava”, distaccamento territoriale di Libera nazionale. E traducono, con il loro attivismo e il loro impegno dentro e fuori dall’Università, il messaggio di Giovanni Falcone, che diceva che “la mafia non è affatto invincibile. È un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio ed avrà anche una fine". Si apprestano a lasciare Trento per seguire i loro sogni professionali. Ma qui, nella terra che è stata la loro casa per cinque anni, hanno sparso i semi della legalità, della libertà, della giustizia. Il loro percorso in Libera inizia anni fa, tra i banchi di scuola. Maria al liceo di Ostia, Sofia in quello di Fondi. Territori in cui il fenomeno mafioso è radicato.  «Sono entrata in Libera quando mi sono resa conto che la mafia non è così distante da noi» racconta Sofia. «Dopo un incontro con il sociologo Marco Omizzolo, che aveva parlato di sfruttamento del lavoro dei migranti indiani nelle campagne della zona in cui vivevo, ricordo che tornai a casa furiosa. Fino a quel momento ero rimasta all’oscuro di quello che mi accadeva intorno. Da lì ho capito quanto la mafia ci stesse attorno e ho iniziato a impegnarmi concretamente». Percorso analogo quello di Maria. «Tutto nasce dal luogo in cui sono cresciuta» – esordisce. «Le vicende di Ostia, in particolare legate al business degli stabilimenti balneari, le conosciamo un po’ tutti. A me dava fastidio questo tarlo che opprimeva il mio quartiere. Sapevo delle estorsioni, del pizzo, della prevaricazione di alcune famiglie sulle persone più povere e deboli. Ho conosciuto Libera quando uno studente della mia scuola ha inviato tutti a partecipare alla manifestazione del 21 marzo a Bologna nel 2015 (Giornata della memoria e dell'impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie, ndr). Era la prima volta che facevo attivismo vero. Con Libera – prosegue – ho trovato il modo di incanalare la mia rabbia e la speranza di un cambiamento che non riuscivo a trovare altrove. Da soli è impossibile fare qualcosa, ma se siamo tutti loro hanno perso. Libera è il mio modo per dire che non hanno il mio consenso». In questi tre anni, dall’ultima firma di rinnovo del protocollo con l’Ateneo, sono state realizzate numerose attività ed eventi, all’Università ma anche nelle scuole superiori. Seminari su beni confiscati, mafie internazionali, giustizia riparativa. Sono stati organizzati incontri con ospiti come Roberta Gatani, nipote di Paolo Borsellino e Paolo Savio, sostituto procuratore della Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo. Non solo. «Siamo stati molto impegnati a seguire le udienze in tribunale del processo “Perfido” sulle infiltrazioni criminali nel settore del porfido in Trentino», sottolinea Sofia. Libera si era costituita parte civile nel procedimento giudiziario. Il primo vero caso di mafia in Trentino. Su questo argomento nel 2020 attivisti e attiviste hanno realizzato anche un podcast. Si chiama Caveat. L’Università, grazie al protocollo, fa da ponte tra le attività del presidio e la parte di formazione. Propone corsi improntati all’etica, al riconoscimento dei rischi per alcune professioni (come la corruzione), all’utilizzo corretto dei fondi pubblici, anche europei. Le attività e le tematiche specifiche sulle quali orientare le iniziative ritenute di maggior attualità o urgenza sono concordate con Barbara Poggio, prorettrice alle politiche di Equità e Diversità e referente di Ateneo per la gestione delle attività previste dal protocollo. 
Quello che ha sorpreso le due studentesse, quando si sono trasferite a Trento, è stato scoprire che anche in Trentino esistono modelli di comportamento mafiosi. «Una delle prime formazioni che ho seguito qui a Trento – spiega Sofia – è stata sullo sfruttamento del lavoro nelle cave. Interveniva Walter Ferrari del Coordinamento Lavoro Porfido. Sfogliando il mio taccuino di Libera e andando indietro con le pagine, avevo ritrovato le stesse cose che ci aveva raccontato Mizzolo qualche anno prima. I contesti sono diversi ma le dinamiche sono le stesse. Questo vuol dire che nessun posto si salva». «Io neanche sapevo ci fosse la mafia in Trentino – aggiunge Maria che prosegue - sono entrata nel presidio del Nord perché voglio continuare a fare attivismo. Voglio che questo sia un problema che riconoscono tutti gli italiani in quanto tali, da Torino a Palermo». Cosa rappresenta il protocollo con l’Università? «Per me è importante che l’ateneo ci riconosca e il protocollo legittima quello che facciamo», risponde Maria. Sofia si dice «molto orgogliosa che la mia Università scelga di impegnarsi, di mettere pubblicamente una firma su questi valori. Di schierarsi dalla parte giusta».
Il protocollo conferma l’obiettivo di portare il messaggio di Libera all’ interno dell’ateneo, la lotta per la legalità democratica. «Per il futuro ci piacerebbe farci conoscere di più e raggiungere la comunità studentesca del Polo scientifico in collina», auspica Maria. Sofia punta al progetto “Amunì” promosso da Libera e rivolto a giovani, tra i sedici e vent’anni, sottoposti a procedimento penale, impegnati in un percorso di riparazione, la cosiddetta messa alla prova. «Giuristi, sociologi, psicologi, educatori potrebbero condividere le competenze e contribuire ad aiutare questi ragazzi e alle ragazze nel loro cammino di crescita». Il presidio universitario di Trento, intitolato a Celestino Fava, ucciso dalla ‘ndrangheta a 22 anni nel 1996, oggi conta 20 tesserati e tesserate. Molti sono iscritti a Giurisprudenza, ma non mancano rappresentanti dei dipartimenti di Sociologia ed Economia e Management, della Scuola di Studi internazionali. Le sue attività si possono seguire sulla pagina Instagram libera_unitn   Per chi volesse altre informazioni ed entrare a far parte del presidio può scrivere a libera.unitn [at] gmail.com.