Dall’aprile dello scorso anno l’Università di Trento, per la prima volta, ha un prorettore dedicato alla terza missione e ai rapporti con le scuole. È Alberto Montresor, professore ordinario al Dipartimento di Ingegneria e Scienza dell'Informazione dove insegna Informatica. Membro del Senato Accademico, è cofondatore di FabLab UniTrento, un laboratorio di fabbricazione digitale che svolge il ruolo di centro didattico per le nuove tecnologie e il mondo STEM all'interno dell'università e sul territorio. UniTrentoMag lo ha intervistato.
Professor Montresor, cosa si intende per terza missione e in che modo l’Università la sta portando avanti?
Forse terza missione è un nome un po’ sfortunato, perché dà l‘idea che sia una cosa che facciamo in più, quando abbiamo finito di fare didattica e ricerca. In realtà l’Università è molto impegnata su questo fronte. Sintetizzando, la terza missione riguarda il rapporto tra l’università e la società civile. In primis il mondo economico e produttivo, e quindi parliamo di trasferimento tecnologico, di ricerca applicata, di collaborazioni finalizzate allo sviluppo di progetti innovativi. Poi quello della pubblica amministrazione e degli altri enti culturali del territorio. Ci sono le realtà del terzo settore: associazioni, enti e imprese sociali, organizzazioni no profit. C’è la cittadinanza intera con cui dialogare. Nel mio titolo di prorettore sono presenti anche i rapporti con la scuola, il che rispecchia il mio interesse personale verso questo comparto. È quello con cui possiamo attivare il maggior numero di cooperazioni positive, in quanto condividiamo lo stesso obiettivo.
È la prima volta che Unitrento ha un prorettore con questo incarico. Ma da sempre l’ateneo fa terza missione, è nel suo DNA. È uno dei suoi tre obiettivi insieme a formazione e ricerca. Perché secondo lei a un certo punto si è sentita l’esigenza di istituire questo incarico?
Per avere una maggiore armonia e organicità nel comunicare le tante iniziative che i diversi dipartimenti portano avanti da anni. Il primo passo è dare la giusta visibilità a quello che facciamo, un obiettivo su cui sta lavorando la Direzione Comunicazione e Relazioni. L’idea è creare un contenitore comune per tutte le attività di terza missione nel nostro sito. Oltre a questo, è necessario mettere a fattor comune le buone pratiche e le attività che vengono portate avanti dall’Università. Questo viene già fatto, e il servizio Orienta ne è un esempio, ma si potrebbe fare di più. Infine vorremmo fare una valutazione dell’impatto sulla comunità delle nostre azioni. Cercare cioè di capire come quello che stiamo facendo per il mondo esterno acquisisce un valore positivo per il territorio.
Secondo lei come si valuta l’impatto sociale dell’università? L’obiettivo dovrebbe esser quello di aver cittadini e cittadine più consapevoli, più informate e attente alle fake news.
C’è un’azione precisa nel Piano strategico di Ateneo guidata dal professor Stefano Oss relativa alla terza missione sulla divulgazione scientifica, che prevede la creazione di un tavolo per la comunicazione della ricerca. Durante l’Assemblea di Ateneo di quest’anno, dedicata al tema di medicina e salute, c’è stato un intervento dedicato alla prevenzione. Una popolazione acculturata tende a essere più sana. Secondo me i nostri Centri e futuri dipartimenti potranno svolgere un ruolo di diffusione delle informazioni per combattere le notizie false che circolano. Tornando al tema dell’impatto, dobbiamo misurarlo e dargli il giusto valore. Vorremmo capire cosa resta, cosa succede dopo i nostri interventi. Qual è l’impatto sulle conoscenze e gli interessi culturali della popolazione. Nel mondo della scuola, che è quello che conosco meglio, queste valutazioni di impatto vengono forse più facili perché c’è un campione di ragazzi e ragazze con cui si fanno interventi laboratoriali di lunga durata, per cui si può cercare di comprendere meglio cosa è successo. Al contrario, eventi di più breve durata come un seminario a un festival hanno comunque un enorme impatto, ma è più difficile valutarlo. Questo, se fatto bene, e stiamo facendo un po’ di sperimentazione in questo senso, è anche un momento di riflessione per chi partecipa alle nostre iniziative.
In questi suoi anni di incarico quale sarà l’impronta che le piacerebbe lasciare?
Il mio lavoro sarà orientato al dialogo. Non dobbiamo vedere la terza missione come “cosa l’università può fare per il territorio” ma “cosa l’università e il territorio possono fare insieme”. Noi siamo una grande impresa culturale, ma ci sono anche altri attori con i quali si può dialogare per realizzare iniziative in comune. L’anno scorso è stata organizzata l’assemblea università-scuola, composta da tavoli partecipativi in cui si è cercato di far incontrare questi due mondi e alcuni stakeholder locali come Fbk e Hit. L’idea di quella giornata era parlarsi. A volte, l'immagine che abbiamo del mondo della scuola non riflette pienamente la sua complessità e varietà. Per questo, è essenziale creare occasioni di confronto e reciproca conoscenza. Questo vale per la scuola, ma anche per altri attori del territorio, come le comunità di valle, i comuni, i consorzi e altre strutture amministrative, incluse quelle delle aree più periferiche.