Vivace, passionale, a volte persino impetuoso. Un maestro che dialogava con il pubblico, a lezione come attraverso i suoi scritti. Osservatore attento della società e delle sue dinamiche anche quando sulle spalle aveva ormai molti anni. Strenuo sostenitore dell’attualità della sociologia. Sono alcune delle pennellate che ritraggono Franco Ferrarotti, sociologo, intellettuale, scrittore e politico. All’Università di Trento si ricordano in particolare il ruolo che ebbe nella nascita dell’Istituto universitario di scienze sociali, i corsi di insegnamento di sociologia della cultura e di sociologia industriale e quella sua ultima volta in città nel 2009. Si congedò da Trento con una tavola rotonda rivolta alle persone più giovani sulla sociologia tra formazione e professione. Era convinto allora, e lo rimase per tutta la vita, del ruolo della sociologia per interpretare le interconnessioni dei fatti sociali. Anche nella società tecnologicamente progredita e della realtà virtuale.
Nell’aprile scorso aveva compiuto 98 anni. Ma nelle interviste che ha continuato a rilasciare trasmetteva la curiosità, la vivacità e la passione di sempre. Così come è stato uno scrittore prolifico fino alla fine. Un intellettuale brillante considerato a livello internazionale come uno dei padri fondatori della sociologia italiana contemporanea. Nato a Palazzolo Vercellese, si era laureato all’Università di Torino con Nicola Abbagnano. Nel 1960, alla Sapienza, vinse il primo concorso a cattedra di Sociologia bandito in Italia. Innumerevoli le testimonianze uscite sui media in occasione della sua morte, avvenuta nei giorni scorsi, il 13 novembre, a Roma. La città dove ha vissuto la sua vita e la sua carriera accademica. E dalla quale partiva in treno per raggiungere Trento agli albori della storia universitaria della città.
Ferrarotti fu uno dei protagonisti della nascita, nel 1962, dell’Istituto universitario di scienze sociali a Trento, nucleo originario di quello che sarebbe diventato un giorno l’Ateneo con le sue strutture accademiche. Fu infatti componente del primo Collegio commissariale dell’Istituto trentino di cultura, assieme tra gli altri a Feliciano Benvenuti, Marcello Boldrini, Giorgio Braga e Mario Volpato.
Nel 2009, l’ultima volta in cui venne a Trento, Franco Ferrarotti in un incontro-intervista al Palazzo di Sociologia aveva raccontato motivazioni, vicende e fasi che portarono alla fondazione della prima Facoltà di Sociologia in Italia. Si era soffermato su come vennero costruiti i programmi di studio, della formazione che era stata progettata e di come era stato disegnato il profilo professionale. Nell’occasione si era anche riflettuto sul ruolo di Trento nell’istituzionalizzazione della sociologia come disciplina accademica in Italia.
L’ampia aula 20, quella che poi sarebbe stata intitolata a Beniamino Andreatta, era gremita. Fu un incontro molto partecipato e vibrante. «Era un grande affabulatore» commenta Luigi Blanco, che aveva invitato a Trento con Fabrizio Ferrari e l'associazione degli ex-studenti, nel contesto degli eventi per il cinquantenario della Facoltà, quel professore che negli anni '60 arrivava da Roma in vagone letto per tenere le sue lezioni. «Ferrarotti ha insegnato per l'anno accademico 1963-64 Sociologia culturale, poi per i tre successivi Sociologia del lavoro e nell'ultimo anno di insegnamento a Trento, 1967-68, Storia del pensiero sociologico. Non era un grande cultore dei dati, della matematica e della statistica. Aveva un approccio umanistico alla sociologia» spiega.
Tra le persone che, in quel giorno di maggio del 2009, s’intrattenerono con Ferrarotti c’era Riccardo Scartezzini. Negli anni universitari lo aveva avuto come professore di sociologia della cultura e di sociologia industriale e poi, nel 1967, si era laureato con una tesi proprio sul mondo dell’industria. «A lezione ci raccontava la sua esperienza all’Olivetti di Ivrea e alla casa editrice Comunità. Aveva un occhio sulla disciplina e uno sulla società. Era un osservatore attento, che annusava l’aria, che si interrogava sugli aspetti e sui problemi della vita e della società. Si fidava molto della sua intuizione e della sua capacità analitica». Per Scartezzini le sue lezioni restano indimenticabili: «Il suo eloquio affascinava, seduceva. Era molto attento al suo pubblico. Gli piaceva la scena, come un attore. Era un maestro “antico”, che dialoga con chi lo ascolta e con i suoi scritti. Si teneva vivo scrivendo».
Anche Antonio Schizzerotto è stato tra gli studenti di quella prima generazione. Ha tra le mani il suo manuale “La sociologia: storia concetti metodi”, scritto da Ferrarotti con prefazione di Camillo Pellizzi. «Furono i due primi professori ordinari di sociologia in Italia» ricorda. Per lui Ferrarotti «ebbe un ruolo limitato nell’avanzamento della disciplina dal punto di vista metodologico ed empirico, ma un ruolo decisivo rispetto alla diffusione e all’accreditamento accademico della disciplina in Italia». Parla poi della funzione che ebbe nello sviluppo nella sociologia critica e del merito di aver introdotto l’insegnamento di sociologia industriale. «Una novità assoluta per l’Italia che nasceva dalla sua esperienza alla Olivetti e dagli studi che aveva compiuto in America». E dall’America portò in Italia, con la sua casa editrice, anche i lavori di Pareto, Durkheim e vari esponenti della scuola di Francoforte.