Il nuovo organo a Palazzo Prodi ©UniTrento ph.Pierluigi Cattani Faggion

Vita universitaria

Il Re degli strumenti suona in Ateneo

Il Dipartimento di Lettere e Filosofia inaugura con un concerto l’insolito arrivo di un organo in un’università italiana

29 aprile 2025
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Swami Agosta
Studentessa collaboratrice Ufficio stampa e Relazioni esterne

Solo nelle chiese? No, l’organo è uno strumento unico e straordinario che vale la pena di ascoltare dappertutto. Anche in un’università. La scommessa parte dal Dipartimento di Lettere e Filosofia che ha acquistato un organo a canne di produzione italiana. La sua particolarità sta nel fatto che può essere trasportato e facilmente affiancato da altri strumenti o da ensemble vocali e orchestre. Il prossimo 6 maggio l’organo sarà inaugurato con un breve concerto a Palazzo Prodi, aperto a tutta la cittadinanza. Abbiamo chiesto al professor Marco Uvietta, musicologo, compositore e docente del Dipartimento di raccontare le caratteristiche e l’unicità di questo strumento e come sia arrivato nel nostro ateneo.     

Professor Uvietta, perché un organo a canne in università?

«Per un’università italiana è decisamente una novità, quantomeno nel nostro tempo. Ma all’estero è piuttosto comune che gli atenei dispongano di un organo. Questo perché oltre agli aspetti teorici e storico-estetici della musica, è importante prestare attenzione anche alla pratica musicale. La scelta di acquistare un organo, che è sicuramente uno strumento particolare, nasce anche dalla volontà di affiancarlo al coro dell’Università di Trento, una corale polifonica molto attiva. Avere a disposizione un organo vero – non un suo surrogato – migliora sensibilmente la qualità sonora delle esecuzioni. Inoltre, il fatto che si tratti di uno strumento trasportabile permette di accompagnare il coro anche in contesti diversi dalla chiesa, circostanza che arricchisce notevolmente l’offerta musicale e culturale dell’Ateneo. Ma uno strumento di questo genere consente anche di avviare progetti di ricerca nell’ambito della composizione contemporanea, in specifico della musica da camera con organo, secondo una vocazione già ben radicata nel nostro Dipartimento».    

Che differenza c’è nell’esecuzione e dal punto di vista tecnico e acustico tra un organo portatile come questo e un grande organo tradizionale?    

«Ogni organo ha le sue peculiarità, ma a un primo impatto la differenza rispetto a un organo tradizionale è davvero minima. Naturalmente gli organi di grandi dimensioni dispongono di un maggior numero di registri. Quando l’organista Simone Vebber è venuto a collaudare il nostro nuovo organo portatile, sono rimasto davvero sorpreso per la qualità dell’esperienza d’ascolto. Dal punto di vista tecnico, con i grandi organi, spesso collocati in spazi con forte riverbero come le chiese, si avverte per varie ragioni un ritardo del suono e una sonorità amalgamata, talvolta persino confusa. La possibilità di collocare questo strumento di piccole dimensioni, scattante e praticamente privo di ritardo, in ambienti acusticamente adeguati consente un’esperienza d’ascolto meno “decorativa” e più “analitica”, in altre parole molto più coinvolgente, sia per i musicisti, sia per gli ascoltatori.

Siamo abituati ad associare l’organo alle chiese e a un tipo di musica tradizionale. Pensa che “il Re degli strumenti” possa invece attirare anche i giovani, anche se lontano dal loro immaginario musicale?

«È comprensibile che un giovane oggi fatichi a immaginare l’organo fuori dal contesto liturgico. È uno strumento con una storia lunghissima e una forte connotazione culturale. Spesso lo si associa automaticamente alla musica sacra. In realtà non esiste “il suono d’organo”: questo strumento ha una ricchezza timbrica straordinaria e una gamma di possibilità praticamente illimitata. Anche dal punto di vista architettonico si tende a pensare che debba per forza trovarsi in una chiesa, quando invece moltissime sale da concerto possiedono un organo. La Filarmonica di Trento, ad esempio, oltre ad avere una straordinaria acustica, possiede uno splendido organo a canne. Il suono in una sala da concerto è diverso, più nitido e meno dispersivo rispetto all’acustica di grandi navate. Questo, ad esempio, può aiutare ad avvicinare un pubblico prevenuto, abituato a un suono d’organo stereotipato e convenzionale».

Che consiglio darebbe a chi non ha mai ascoltato questo genere di musica? Da dove iniziare per scoprirne il fascino?

«L’organo è uno strumento che colpisce proprio per la sua complessità. È quasi come un’orchestra suonata da un solo musicista. Si possono combinare registri diversi, usare più tastiere e poi ci sono i pedali, che aggiungono un’ulteriore dimensione al suono. Ogni tastiera può avere una timbrica diversa, e questo consente una ricchezza sonora davvero unica. Per chi si avvicina per la prima volta a questo mondo, consiglierei di lasciarsi incuriosire da questa varietà: l’organo è uno strumento che, più di ogni altro, riesce a riempire lo spazio come farebbe un’intera orchestra, pur essendo suonato da un solo esecutore o esecutrice. Ed è proprio questo il suo fascino più grande».

Per un primo approccio alla musica per organo, cosa suggerirebbe di ascoltare?

«La disponibilità attuale di strumenti a tastiera elettronici, con suoni campionati e sintetizzati di ogni genere e tipo, tende a distogliere l’attenzione dall’organo storico. Ci sono però due aspetti fondamentali che possono attrarre anche le persone più giovani. Da una parte l’aspetto tecnico-meccanico dello strumento - una vera e propria macchina - che per la sua complessità è presente nei principali musei della scienza e della tecnica. Dall’altra l’aspetto ‘atletico’: è straordinario quanto l’organista sia coinvolto in ogni sua parte del corpo, con un uso anche dei piedi e delle gambe che non ha riscontro in nessun’altra pratica strumentale
Consiglierei senz’altro due capolavori di Johann Sebastian Bach, in cui la parte affidata ai pedali è rilevante: Toccata, adagio e fuga in Do maggiore BWV 564 e Toccata e fuga in Fa maggiore BWV 540.
Un aspetto del repertorio organistico meno noto fra i non musicisti è la produzione di Padre Davide da Bergamo, contemporaneo di Gioachino Rossini. Se ascoltiamo Le sanguinose giornate di marzo, ossia la rivoluzione di Milano oppure la Sinfonia in Mi maggiore (con tanto di grancassa e piatti), ci troviamo tutta l’esuberanza delle opere di Rossini e Donizetti, nonché delle marce, degli inni, dei canti di strada di epoca rivoluzionaria. La sua produzione di sinfonie porta idealmente l’organo fuori dalla chiesa.
L’uso dell’organo come strumento elettronico, capace di competere con qualunque dispositivo tecnologico attuale, è magistralmente esemplificato in Volumina (1966) di György Ligeti, un flusso sonoro quasi psichedelico, quasi una musica delle sfere celesti.
I giovani d’oggi potrebbero essere anche attratti dall’arte improvvisativa degli organisti, prassi secolare che oggi ha raggiunto livelli straordinari. Vedere un organista che improvvisa su qualunque tema venga proposto dal pubblico è un’esperienza galvanizzante. Simone Vebber, organista di fama internazionale che inaugurerà questo strumento il 6 maggio, è un grandissimo improvvisatore; chissà che non ci regali uno di questi momenti magici.

Un assaggio potrebbe arrivare anche dall’inaugurazione dell’organo, il prossimo 6 maggio. Che musica ascolteremo?

«Abbiamo previsto due momenti musicali. Nel primo, Simone Vebber eseguirà brani per organo solo di Johann Sebastian Bach (Fantasia e Fuga in Sol minore BWV 542), Robert Schumann (Schizzo in Fa minore op. 58 n. 3) e anche una mia composizione originale: Fuga op. 372. Il brano ruota appunto attorno al numero dello studio che condivido con il collega Stefano Grimaldi. Con la sua collaborazione e “complicità”, mi sono divertito a comporre questo brano facendo derivare tutte le note della fuga proprio dalle cifre 3, 7, 2, un benvenuto simbolico al “Re degli strumenti”, a cui potrebbe aggiungersi (lo speriamo) un omaggio improvvisato. Nel secondo momento musicale, per coro e organo, i direttori Marco Gozzi ed Enrico Correggia eseguiranno, con l’accompagnamento all’organo di Massimo Zortea, due composizioni di noti autori contemporanei, Arvo Pärt (Salve Regina) e John Rutter (Look at the World). Sono due brani brevi, ma molto significativi molto comunicativi, che permetteranno di apprezzare, oltre alle qualità del coro, le potenzialità dell’organo anche come strumento accompagnatore. Per l’occasione sarà presente anche il costruttore dell’organo, Francesco Zanin, che illustrerà le principali caratteristiche dello strumento.